giovedì 26 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (quinta parte)

Dopo alcuni minuti, finalmente, capii tutto. Le luci si spensero e un faro si accese, illuminando il proprietario del ristorante. Aveva un microfono in mano e cominciò a dire: "Signore e signori, benvenuti questa sera alla decima edizione del concorso "Assaggia la critica"! Al tavolo centrale abbiamo l'onore di accogliere i nostri ospiti, aspiranti critici. Abbiamo preparato per l'occasione un menù davvero speciale. A fine cena, i nostri concorrenti avranno a disposizione un tavolo a testa per elaborare una critica sulla cena che sarà loro servita. Gli scritti saranno raccolti e valutati da una giuria, composta da me e da alcuni membri di una nota rivista culinaria. Il premio, ve lo ricordo, è la possibilità di essere assunti dalla rivista come critici. Bene...signore e signori, è l'ora dell'antipasto!"
L'intervento venne accolto con un caloroso applauso, al cui suono vennero riaccese le luci. Arrivarono poi i camerieri con la prima portata. Iniziava così la serata.
Io, nel frattempo, nonostante la fame e il piatto davanti a me, ero sbalordito. Una gara per critici culinari? Io? Io che ero senza gusto? Sembrava una presa in giro! Mi voltai verso Eleonora e le chiesi delle spiegazioni.
"Senti...ho ripensato molto a quello che mi hai detto. Il tuo giudizio sulla torta è stato davvero impeccabile. Rimangiandola ho dato pienamente ragione alla tua critica. I primi giorni non sai quanto mi sono depressa rendendomi conto che come cuoca facevo davvero schifo! Poi, però, ripensando a te e a questa tua...particolarità...mi è venuto in mente questo concorso, a cui non avevo mai partecipato, non sentendomi all'altezza. Mi sono detta che io e te, insieme, avremmo potuto scrivere un'ottima critica: tu descrivendo la consistenza, l'aroma, la forma e quelle cose a cui io praticamente non faccio caso, mentre io mi posso limitare al sapore! Che ne dici: non ti sembra una bella idea?"
"Beh...innanzitutto, perché non mi hai chiesto niente? Secondo: e se io non volessi fare il critico culinario? Terzo...senza offesa...se non sei brava come cuoca, come pensi di saper scrivere una bella critica?" le chiesi.
"E' vero che come cuoca sono pessima, però ti posso assicurare che quando si tratta di assaggiare non c'è sapore o ingrediente che mi sfugga! Per quanto riguarda le prime due domande...beh...tu mi hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa per ringraziarmi, così ho pensato che..."
Sul momento decisi di non risponderle e di fingermi arrabbiato. Cominciai così a mangiare, senza farle capire che in realtà stavo attentamente masticando e valutando la qualità e la consistenza della pietanza.
Eleonora, però, sembrò prenderla male. Si demoralizzò e cominciò a mangiare controvoglia, senza prestare attenzione a ciò che mangiava. Vedendola in quello stato, non resistetti più e le dissi: "Senti...è vero che ti ho detto che avrei fatto qualsiasi cosa...è anche vero, però, che praticamente non ci conosciamo e adesso, quasi dal nulla, stiamo per iniziare qualcosa che sembra più grande di noi. Facciamo così: ripartiamo da zero".
"Cioè?" chiese Eleonora.
"Piacere, Gustavo" le dissi con un bel sorriso.
"Eh?"
"Sto facendo ciò che non ho fatto prima: mi presento, così ripartiamo da zero". Siccome continuava a non dire nulla, la esortai: "E tu? Come ti chiami?"
"Io...io sono Eleonora..." rispose, come spaesata.
Iniziammo così a parlare, o, meglio, io iniziai a parlare. Lei mi ascoltava e mi rispondeva a monosillabi. Lentamente, però, cominciò a sentirsi a suo agio, finché non iniziò anche lei a parlare.
"...e lavoro in un supermercato. Non è un gran lavoro...infatti avevo voglia di dare una svolta alla mia vita, sai? E...adesso...questa sera...me ne stai dando l'occasione...vediamo di non farcela sfuggire, eh?" le dissi ad un certo punto, sorridendole.
Eleonora fu come ridestata da queste parole. Le tornò la voglia di vincere e partecipare e, soprattutto la voglia di assaggiare il cibo davanti a noi.
Da quel momento cominciò fra noi una stupenda intesa. Ognuno assaggiava ed esprimeva il suo giudizio. Lei sugli ingredienti e il loro sapore, mentre io sulla forma della pietanza. Eravamo una coppia davvero incredibile!
A fine serata, soli al tavolo, cominciammo a scrivere una critica alla cena. Ne elogiammo diversi aspetti, mettendo in luce le qualità di alcune portate, nella freschezza dei sapori e degli aromi, mentre criticammo la consistenza e la coesione di alcune portate.
I particolari che criticammo, ovviamente, possono essere ritenuti trascurabili, in quanto non andavano a danneggiare la qualità complessiva della pietanza, ma decidemmo di essere spietati ed estremamente particolareggiati, così da mettere in mostra la nostra capacità di analisi e di critica.
Insomma, fu una della serate più belle della mia vita! Ero in compagnia della ragazza più stupenda che avessi mai conosciuto e avevo l'opportunità di dare una svolta alla mia vita!
La serata terminò con la consegna dei nostri scritti: avremmo solo dovuto aspettare il risultato. Ci dissero che li avrebbero comunicati dopo una settimana. E oggi, è esattamente passata una settimana. Io ed Eleonora stiamo andando al ristorante, per sapere il risultato.
In questa settimana ci siamo conosciuti meglio. Dopo quella cena, davanti alla porta di casa, ci siamo scambiati il nostro primo bacio.
Nei giorni successivi abbiamo quasi sempre mangiato insieme. Eleonora, anche se non è una cuoca eccezionale, per me è comunque molto brava. Ad esclusione dei dolci: quelli sono il suo tallone d'Achille!
Tra di noi, ci siamo detti che anche se non vincessimo, saremmo comunque contenti. Infatti è stata quella serata che ci ha uniti, e non sarà certo la sconfitta che ci dividerà. Volevo una svolta nella mia vita, e forse pensavo di riceverla da quel concorso. Adesso, però, quella svolta, penso di averla già imboccata, e, lasciatemelo dire, ha un sapore inconfondibile: il sapore della vita!

Fine

martedì 24 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (quarta parte)

Quando lei mi aprì timidamente, io, col mio entusiasmo, la travolsi! Cominciai a raccontarle tutto, riversandole, come un fiume in piena, tutte le mie considerazioni e rivelazioni appena avute.
Eleonora non capiva, cercava di fermarmi, di pormi un freno, di capire, ma ero troppo eccitato per ascoltarla. Proseguivo senza neanche rendermi conto di cosa stavo dicendo! Alla fine, quando mi calmai, lei mi disse: "Non ho capito praticamente nulla di quello che mi hai detto...la torta...ti è piaciuta o no?"
Io scoppiai a ridere a questa domanda. Poi le dissi: "Devi sapere una cosa: io, sin dalla nascita, non ho il senso del gusto. No, non ti preoccupare, non è così terribile" la rassicurai, vedendo la sua faccia sconvolta a questa mia rivelazione. "Fino a poco fa, mangiavo di tutto, non potendo assaporare nulla. Quando mi hai dato la tua torta, però, ho cercato un modo per esprimerti un giudizio sincero. Ho così mangiato il tuo dolce facendo attenzione alle sensazioni che provavo, sperimentando così qualcosa di nuovo! Mi sono accorto di cose che avevo sempre percepito ma a cui non avevo mai fatto caso: la consistenza, la forma, l'odore, l'aspetto...e tutto quello che non passa per il gusto! E in questo modo, ho capito una cosa."
"Cosa?" riuscì a chiedere Eleonora che ancora non sapeva se credermi.
"La tua torta non mi è piaciuta tanto. Si sbriciola, ha una forma incerta, l'odore del cacao non è molto intenso, si mastica male e lascia la bocca legata."
"Allora non ti è piaciuta?" mi chiese la ragazza appena le descrissi queste mie sensazioni.
"Sì, ma non è questo il punto! Senza la tua torta non avrei mai scoperto tutto questo! Mi capisci? Posso finalmente dire che una pietanza mi piace e un'altra no! Grazie mille! Voglio sdebitarmi: chiedimi qualsiasi cosa!"
Eh, già! Le dissi proprio così. Non so cosa mi prese in quel momento. Era come se non avessi più alcuna inibizione. Eleonora, però, non condivideva il mio entusiasmo. Non mi credette, infatti, e mi cacciò fuori dal suo appartamento, urlandomi che non c'era bisogno di inventare certe storie assurde per dire he la torta non mi era piaciuta. Cercai di ribattere, ma non me ne diede il tempo, sbattendomi la porta in faccia.
L'eccitazione, lentamente, scemò, fino a lasciarmi una grande amarezza. Avevo l'impressione di aver già perso tutto. Speravo, infatti, che Eleonora mi avesse capito e speravo che potesse essere l'inizio per una conoscenza e, chissà, magari una storia.
In quei giorni, però, non si fece vedere, e le mie speranze sembravano destinate a morire. Passai una settimana lavorando svogliatamente, saltando diverse volte i pasti, buttandomi sul letto senza far nulla.
Un giorno, però, suonò il campanello. In me si riaccese la speranza che fosse lei. Aprii così la porta, ma non vi trovai nessuno. Guardai nel corridoio, ma era vuoto. Finalmente abbassai lo sguardo e vidi una busta.
La raccolsi: non riportava nessun nome. La aprii e vi trovai un breve messaggio di Eleonora. Ero piacevolmente sorpreso! C'era scritto di farmi trovare il giorno dopo a cena in un tal ristorante, vestito elegante, per le otto di sera. Mi stava forse invitando a cena? Forse per chiedermi scusa?
Non riuscivo a capire, però decisi, senza pensarci due volte, di andare all'appuntamento. Iniziò così una lunga attesa fino al giorno successivo. Non stavo più nella pelle! Mi chiedevo che cosa sarebbe successo, che cosa mi aspettava, che cosa mi avrebbe detto. Più ci pensavo, poi, più mi preoccupavo!
Finalmente, dopo un'attesa che mi sembrò interminabile, arrivò la sera. Arrivai là con leggero anticipo. Rimasi fuori dal ristorante ad aspettare. Verso le otto, ancora non si vedeva. Passarono cinque minuti e di Eleonora nessuna traccia. Dieci minuti...quindici e ancora niente. Ero terrorizzato: mi aveva forse preso in giro?
Per fortuna mi sbagliavo e sentii una mano sulla spalla: era lei! "Cosa ci fai qui fuori? Dai, entra: siamo in ritardo!" disse con tono sbrigativo.
"Ah...ma...io..." cominciai a dire per giustificarmi.
"Niente scuse. Muoviti" mi ordinò. Notai in quelle parole una certa rigidità nel tono e nei movimenti, come non fossero spontanei e naturali.
"D'accordo" mi limitai a risponderle, non osando ribattere.
Mi portò dentro il ristorante, facendomi sedere ad un tavolo, al centro del salone, in una tavolata molto lunga, in comune con numerose altre persone. Non capivo perché dovessimo sedere vicino a persone che neanche conoscevamo (o almeno io non conoscevo) e in più in mezzo alla sala, al centro dell'attenzione.
Volevo domandarlo a Eleonora, ma non riuscii a trovare il momento per chiedere nulla, siccome lei cercava in ogni modo di sfuggire al mio sguardo. O guardava dentro la borsetta, o fingeva di guardare il cellulare, o si guardava attorno, o si alzava come se volesse controllare qualcosa, per poi tornare e continuare ad ignorarmi.
Io non potei fare altro che pazientare. Nel frattempo mi chiedevo dove fosse il menù, e mi chiedevo perché nessuno ci venisse a servire. La cosa più strana, però, era l'atmosfera di attesa. Gli occhi erano puntati sul nostro tavolo e tutti aspettavano qualcosa. Ma cosa?

Continua con la conclusione...

domenica 22 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (terza parte)

Andai a sedere in cucina, e scoprii il contenuto del piatto. C'era una fetta di torta al cioccolato. L'aspetto non era dei migliori, lo devo ammettere. Tendeva a sbrciolarsi, e non sembrava ben coesa. Tentai, infatti, di prenderla in mano, ma si staccò in due pezzi. Presi così un cucchiaino.
Raccolsi un pezzo sulla posata e me la avvicinai agli occhi. Il colore non era così intenso come altre torte al cioccolato che avevo visto. "Forse non ha messo abbastanza cacao", pensai.
Poi, misi in bocca il cucchiaino e cominciai a masticare. La consistenza era davvero particolare. Tendeva a sbriciolarsi, dando poca soddisfazione: non la si riusciva, infatti, a masticare, perché tendeva a infilarsi tra i denti. Oltretutto, mi trovai con la bocca leggermente impastata, per cui la lingua non riusciva a scorrere sui denti, che sembravano diventati ruvidi.
Continuai comunque a mangiarla. Più andavo avanti, però, più mi convincevo che c'era qualcosa che non andava. Sia chiaro: non che la torta non mi piacesse, però mi rendevo conto che non era all'altezza di un cuoco. La consistenza e la forma erano imperfette. Non avendo mai potuto gustare qualcosa, avevo sempre concentrato le mie sensazioni su quegli aspetti che riuscivo a cogliere, coma la facilità con cui si mastica qualcosa, il modo in cui lo si mastica, le condizioni in cui rimane la bocca dopo aver ingoiato il boccone, e aspetti di questo genere.
Erano tutte cose di cui non avevo mai parlato a nessuno, o su cui non avevo mai neanche riflettuto. In quel momento, però, nel momento in cui mi era stato chiesto un giudizio, mi trovai a capire tutto questo. Mangiando quella torta mi si aprì un mondo. Ripensai a tanti cibi che avevo provato, a tanti piatti che mi avevano offerto o preparato: in quel momento riuscii a ricordare le sensazioni più volte sperimentate, riuscendo a rendermi conto di una verità che mi suonava realmente incredibile. Io avevo sempre gustato il cibo.
Non come fanno le altre persone, ma lo gustavo nei suoi aspetti più nascosti e meno evidenti, quelli a cui nessuno fa mai caso. Quelli che vengono oscurati proprio da gusto così forte, dal dolce, dal salato, dall'amaro. Io stavo riscoprendo lì, in quel momento, con quella torta, la mia possibilità di essere completo, come tutti. Se anche io stavo assaporando e gustando quella torta, allora non ero poi così diverso da chi si definisce "completo".
Finalmente, dopo anni in cui non avevo mai espresso nessun vero giudizio su ciò che mangiavo, mi sentivo legittimato a dire la mia opinione e ad esprimere una mia preferenza. Finalmente potei esclamare: "Questa torta non mi piace!"
La gioia di quella rivelazione, per me così incredibile, mi donò un'energia mai provata prima. Andai ad aprire il frigo, e cominciai a mangiare qualsiasi cosa che mi capitasse sotto mano. Presi un pezzo di formaggio e ne apprezzai la morbidezza, la consistenza delicata. Mangiai una fetta di prosciutto crudo, godendo della lieve resistenza che la fetta opponeva ai miei morsi. Provai della pasta avanzate e rimasi deluso dalla consistenza leggermente gommosa e dalla durezza che avevano assunto.
Proseguii in questo modo, assaggiando un po' di tutto, realizzando che cosa mi piaceva davvero e cosa no. Col tempo, poi, iniziai a prestare più attenzione anche agli aromi, alla fragranza e all'odore delle diversi pietanze. Scoprii aromi pungenti che sembravano risalire il naso fino alla testa, aromi lievi, quasi impercettibili e aromi delicati, quasi calcolati.
Mi sentivo veramente rinato! Ero un uomo nuovo. Quel peso che per così tanto tempo avevo cercato di nascondere, di negare, di non accettare nelle sue conseguenze, finalmente me era stato tolto! E il merito era tutto di quella torta. Presi il piatto con quel po' di dolce rimasto e uscii di casa, andando a bussare all'appartamento di Eleonora.

Continua...

venerdì 20 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (seconda parte)

Era una mia vicina di casa. Aveva più o meno la mia età (scoprii in seguito che aveva due anni in meno di me). Si chiamava Eleonora. Bussò un giorno alla mia porta. Al vedermela lì, rimasi folgorato! Portava un grembiule da cucina, e aveva i capelli un po' arruffati, probabilmente dal calore dei fornelli su cui stava cucinando. I suoi capelli rossi mi colpirono: sembrava quasi un cespuglio! E non lo dico in senso negativo, sia chiaro, anzi! Mi piacevano così "al naturale". Anche il suo volto, un po' sudato dal calore della giornata e della cucina le dava davvero un senso di spontaneità.
Ricordo che la guardai con stupore, senza dire una parola. Non capivo che cosa volesse, e perché avesse bussato alla mia porta. Fu lei ad interrompere il silenzio.
"Posso...posso chiederti un favore?" mi chiese senza guardarmi in faccia, forse per vergogna.
"Sì...sì, dimmi" le risposi.
"Vedi...sto studiando per diventare cuoca...solo che..." cominciò.
"Che?" la esortai.
"Non ho nessuno a cui chiedere di provare ciò che preparo...quindi...mi chiedevo...se...ecco...tu...".
"Io...cosa?" chiesi, continuando a non capire.
"Potresti assaggiare quello che ho preparato?" disse prendendo coraggio, mostrandomi un piatto che teneva in mano, che prima non avevo notato.
"Come?" domandai.
"Non ti va? Non hai fame? Se vuoi te lo lascio, poi mi sai dire...non devi per forza mangiarlo subito".
"Beh...ecco..." cominciai a dire, non sapendo come continuare e come farle sapere che non avrei mai potuto gustare il suo piatto.
"Se non lo vuoi provare non c'è problema..." disse con un tono deluso. "Scusa se ti ho disturbato." Eleonora si voltò e cominciò a tornare verso il suo appartamento.
Non so cosa mi prese in quel momento, però, quasi d'istinto, le urlai: "No, aspetta! Lasciami il piatto, lo assaggerò!"
La ragazza mi guardò raggiante, finalmente negli occhi, mostrandomi uno sguardo davvero caloroso. Mi porse il piatto, diventando tutta rossa, riuscendo a borbottare un "grazie", per poi correre subito in casa sua.
Mi trovai così col piatto in mano, sulla porta di casa mia, con il compito di assaggiare un cibo che non avrei mai potuto gustare. Rientrai, pensando ad un modo per non deludere la ragazza.
Inizialmente mi venne l'idea di chiamare i miei e chiedere a loro di assaggiare il piatto, così da avere un'opinione da riferire. Scartai subito l'idea, però. Mi sembrava ingiusto affidare a qualcun altro una cosa che era stata chiesta a me personalmente.
In un secondo momento pensai di fingere. Di elogiare il piatto, il suo sapore, magari ispirandomi ad internet, da qualche recensione. In fondo non sarebbe stato così difficile inventarsi un giudizio. Dopo poco, però, scartai anche questa possibilità. Se il piatto cucinato non era buono? Avrebbe subito capito che mentivo, dando così una pessima immagine di me.
Arrivai così alla terza ipotesi: dirle la verità, e farle sapere che non avevo il gusto. Così avrebbe capito. A quel punto, però, forse non avrebbe più bussato alla mia porta. In quel momento, infatti, questa idea mi tormentava. Volevo già rivederla, e speravo di poter parlare un'altra volta con lei, magari non più sulla porta, ma seduti.
Sommerso nei miei dubbi, presi una decisione. Pensai che era inutile arrovellarsi in quel modo, così mi dissi che era meglio agire: avrei intanto mangiato il suo piatto. Poi avrei cercato una soluzione.

Continua...

martedì 17 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (prima parte)

Il mio nome è Gustavo. Ironia della sorte! Se i miei genitori avessero saputo, avrebbero sicuramente scelto un altro nome. Infatti, sin dalla nascita, ho un terribile difetto: non possiedo il senso del gusto. Capirete che è una situazione davvero strana. Prima di accorgersene, i miei genitori ci hanno messo davvero tanto. Finché ero piccolo non potevo parlare o esprimere nulla. Mangiavo sempre di tutto e non mi lamentavo mai. Mia mamma diceva sempre che ero un bravissimo bambino.
Un giorno, però, mi vide in giardino: stavo mangiando dell'erba e del fango. Li masticavo e li ingoiavo tranquillamente, senza sentire nessun sapore, né dolce, né amaro. La mamma quel giorno mi sgridò duramente, intimandomi di non farlo mai più. Io, però, piccolo com'ero, non l'ascoltai e mi trovai altre volte in giardino a mangiare ciò che mi capitava sotto mano. Mia mamma, allora, molto preoccupata di questo mio comportamente, mi portò da un dottore, descrivendogli la situazione. Fui così visitato, e dopo lunghe analisi, ebbero la terribile risposta. Non avevo il gusto!
Ora penserete che dev'essere una sensazione terribile non poter gustare il dolce, il salato o l'amaro. In realtà, per me che non ho mai provato cosa voglia dire gustare qualcosa, non è mai stato un vero problema. Innanzitutto, per fortuna, è un mio difetto che si nasconde facilmente. Infatti nessuno, guardandomi in faccia, può prendermi in giro dicendomi: "Tu non hai il gusto!". Al massimo mi guardavano e mi dicevano che avevo il naso grosso, cosa che mi ha sempre dato molto fastidio.
In ogni caso l'assenza di gusto mi ha sempre permesso di mangiare ogni cosa. Se avevo fame, mangiavo, dolce o salato che fosse. Se non avevo fame, invece, non toccavo cibo. Qualunque cosa fosse commestibile, per me andava bene!
Da piccolo, poi, ho sempre saputo trarre vantaggio da questa mia mancanza. Infatti, senza far sapere a nessuno che mi mancava il gusto, proponevo strane scommesse ai miei compagni. Ad esempio, ricordo una scommessa in particolare. Scommisi con un compagno che avrei mangiato insieme un po' del primo, del secondo e del dolce, in un solo boccone! Ricordo che in mensa, quel giorno, c'era risotto alla milanese, con lo zafferano, hamburger, purè e crostata di prugne. Io, disinvolto, mischiai le tre portate e mangiai tranquillamente, sorridendo alle facce schifate ed esterrefatte dei miei compagni. In particolare ricordo la faccia arrabbiata, delusa e stupita del mio amico che aveva scommesso le sue figurine. Dopo quella vittoria riuscii a completare il mio album dei calciatori!
In casa, però, questo mio difetto si rivelava un vero e proprio peso. Mia mamma e mio papà vivevano in un costante disagio. Ogni volta che mangiavamo insieme dovevano trattenersi da ogni tipo di commento. Il massimo che potevano concedersi erano gli apprezzamenti sul profumo. Per il resto, però, non volevano mai dire nulla che ricordasse la mia mancanza.
Io, però, per infastidirli, mi divertivo a prenderli in giro, facendo battute come: "Mh! Senti che bontà questa pasta! Un sapore davvero sublime!". Mia mamma andava su tutte le furie! Sembrava quasi che fosse lei a non avere il gusto!
Crescendo, poi, ho imparato a trattenermi e a non infastidirla più. Appena possibile, poi, ho cercato una casa in cui stare, così da non vivere più il disagio di questi pasti silenziosi e imbarazzati.
Ricordo che, quando ancora vivevo con i miei, ci fu un periodo in cui ebbi l'idea di fare il cuoco! Ero stato ispirato dalla figura di Beethoven. Se lui era un genio della musica ed era sordo, io sarei stato un genio ai fornelli! In realtà...ero un vero disastro! Non riuscivo mai a dosare le giuste quantità e a creare l'equilibrio tra le pietanze. Fui molto frustrato per questo, ma presto mi passò, insieme all'idea fissa di fare il cuoco.
Finiti i miei studi, trovai un lavoro che non c'entrava nulla con ciò che avevo appreso a scuola. Era un lavoro pratico, presso un supermercato. Non era complicato. Forse un po' faticoso, ma comunque mi dava da vivere. Dopo aver accumulato un po' di soldi, infatti, mi diede la possibilità di affittare un piccolo appartamento, così da vivere da solo.
Finalmente stavo bene! Mangiavo ciò che volevo e non dovevo preparare pranzi per nessuno. Non dovevo niente a nessuno e nessuno mi doveva niente, eccetto i miei genitori, ovviamente. Ogni tanto, infatti, andavo a trovarli, o li invitavo da me (quelle volte ordinavo sempre d'asporto!).
Avevo una vita tranquilla e abbastanza serena. Forse un po' in ombra, però mi piaceva. Tutto mi sembrava procedere alla perfezione, finché non ho incontrato lei.

Continua...