martedì 24 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (quarta parte)

Quando lei mi aprì timidamente, io, col mio entusiasmo, la travolsi! Cominciai a raccontarle tutto, riversandole, come un fiume in piena, tutte le mie considerazioni e rivelazioni appena avute.
Eleonora non capiva, cercava di fermarmi, di pormi un freno, di capire, ma ero troppo eccitato per ascoltarla. Proseguivo senza neanche rendermi conto di cosa stavo dicendo! Alla fine, quando mi calmai, lei mi disse: "Non ho capito praticamente nulla di quello che mi hai detto...la torta...ti è piaciuta o no?"
Io scoppiai a ridere a questa domanda. Poi le dissi: "Devi sapere una cosa: io, sin dalla nascita, non ho il senso del gusto. No, non ti preoccupare, non è così terribile" la rassicurai, vedendo la sua faccia sconvolta a questa mia rivelazione. "Fino a poco fa, mangiavo di tutto, non potendo assaporare nulla. Quando mi hai dato la tua torta, però, ho cercato un modo per esprimerti un giudizio sincero. Ho così mangiato il tuo dolce facendo attenzione alle sensazioni che provavo, sperimentando così qualcosa di nuovo! Mi sono accorto di cose che avevo sempre percepito ma a cui non avevo mai fatto caso: la consistenza, la forma, l'odore, l'aspetto...e tutto quello che non passa per il gusto! E in questo modo, ho capito una cosa."
"Cosa?" riuscì a chiedere Eleonora che ancora non sapeva se credermi.
"La tua torta non mi è piaciuta tanto. Si sbriciola, ha una forma incerta, l'odore del cacao non è molto intenso, si mastica male e lascia la bocca legata."
"Allora non ti è piaciuta?" mi chiese la ragazza appena le descrissi queste mie sensazioni.
"Sì, ma non è questo il punto! Senza la tua torta non avrei mai scoperto tutto questo! Mi capisci? Posso finalmente dire che una pietanza mi piace e un'altra no! Grazie mille! Voglio sdebitarmi: chiedimi qualsiasi cosa!"
Eh, già! Le dissi proprio così. Non so cosa mi prese in quel momento. Era come se non avessi più alcuna inibizione. Eleonora, però, non condivideva il mio entusiasmo. Non mi credette, infatti, e mi cacciò fuori dal suo appartamento, urlandomi che non c'era bisogno di inventare certe storie assurde per dire he la torta non mi era piaciuta. Cercai di ribattere, ma non me ne diede il tempo, sbattendomi la porta in faccia.
L'eccitazione, lentamente, scemò, fino a lasciarmi una grande amarezza. Avevo l'impressione di aver già perso tutto. Speravo, infatti, che Eleonora mi avesse capito e speravo che potesse essere l'inizio per una conoscenza e, chissà, magari una storia.
In quei giorni, però, non si fece vedere, e le mie speranze sembravano destinate a morire. Passai una settimana lavorando svogliatamente, saltando diverse volte i pasti, buttandomi sul letto senza far nulla.
Un giorno, però, suonò il campanello. In me si riaccese la speranza che fosse lei. Aprii così la porta, ma non vi trovai nessuno. Guardai nel corridoio, ma era vuoto. Finalmente abbassai lo sguardo e vidi una busta.
La raccolsi: non riportava nessun nome. La aprii e vi trovai un breve messaggio di Eleonora. Ero piacevolmente sorpreso! C'era scritto di farmi trovare il giorno dopo a cena in un tal ristorante, vestito elegante, per le otto di sera. Mi stava forse invitando a cena? Forse per chiedermi scusa?
Non riuscivo a capire, però decisi, senza pensarci due volte, di andare all'appuntamento. Iniziò così una lunga attesa fino al giorno successivo. Non stavo più nella pelle! Mi chiedevo che cosa sarebbe successo, che cosa mi aspettava, che cosa mi avrebbe detto. Più ci pensavo, poi, più mi preoccupavo!
Finalmente, dopo un'attesa che mi sembrò interminabile, arrivò la sera. Arrivai là con leggero anticipo. Rimasi fuori dal ristorante ad aspettare. Verso le otto, ancora non si vedeva. Passarono cinque minuti e di Eleonora nessuna traccia. Dieci minuti...quindici e ancora niente. Ero terrorizzato: mi aveva forse preso in giro?
Per fortuna mi sbagliavo e sentii una mano sulla spalla: era lei! "Cosa ci fai qui fuori? Dai, entra: siamo in ritardo!" disse con tono sbrigativo.
"Ah...ma...io..." cominciai a dire per giustificarmi.
"Niente scuse. Muoviti" mi ordinò. Notai in quelle parole una certa rigidità nel tono e nei movimenti, come non fossero spontanei e naturali.
"D'accordo" mi limitai a risponderle, non osando ribattere.
Mi portò dentro il ristorante, facendomi sedere ad un tavolo, al centro del salone, in una tavolata molto lunga, in comune con numerose altre persone. Non capivo perché dovessimo sedere vicino a persone che neanche conoscevamo (o almeno io non conoscevo) e in più in mezzo alla sala, al centro dell'attenzione.
Volevo domandarlo a Eleonora, ma non riuscii a trovare il momento per chiedere nulla, siccome lei cercava in ogni modo di sfuggire al mio sguardo. O guardava dentro la borsetta, o fingeva di guardare il cellulare, o si guardava attorno, o si alzava come se volesse controllare qualcosa, per poi tornare e continuare ad ignorarmi.
Io non potei fare altro che pazientare. Nel frattempo mi chiedevo dove fosse il menù, e mi chiedevo perché nessuno ci venisse a servire. La cosa più strana, però, era l'atmosfera di attesa. Gli occhi erano puntati sul nostro tavolo e tutti aspettavano qualcosa. Ma cosa?

Continua con la conclusione...

2 commenti:

Anonimo ha detto...

continua così, continuo ad approvare ciò che leggo. ascolta io però sono ancora qui che aspetto l'uscita del tuo libro. vedi di farlo uscire in fretta, dato che " ho fretta" di leggerlo.

ciao da andrea
aerdna ad oaic

Francesco ha detto...

Purtroppo per il mio libro non sono io a decidere quando esce e quando arriva. Comunque ti posso assicurare che anche io sono impaziente!
Dai, vedrai che presto arriva e potrai leggerlo! ;)