domenica 22 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (terza parte)

Andai a sedere in cucina, e scoprii il contenuto del piatto. C'era una fetta di torta al cioccolato. L'aspetto non era dei migliori, lo devo ammettere. Tendeva a sbrciolarsi, e non sembrava ben coesa. Tentai, infatti, di prenderla in mano, ma si staccò in due pezzi. Presi così un cucchiaino.
Raccolsi un pezzo sulla posata e me la avvicinai agli occhi. Il colore non era così intenso come altre torte al cioccolato che avevo visto. "Forse non ha messo abbastanza cacao", pensai.
Poi, misi in bocca il cucchiaino e cominciai a masticare. La consistenza era davvero particolare. Tendeva a sbriciolarsi, dando poca soddisfazione: non la si riusciva, infatti, a masticare, perché tendeva a infilarsi tra i denti. Oltretutto, mi trovai con la bocca leggermente impastata, per cui la lingua non riusciva a scorrere sui denti, che sembravano diventati ruvidi.
Continuai comunque a mangiarla. Più andavo avanti, però, più mi convincevo che c'era qualcosa che non andava. Sia chiaro: non che la torta non mi piacesse, però mi rendevo conto che non era all'altezza di un cuoco. La consistenza e la forma erano imperfette. Non avendo mai potuto gustare qualcosa, avevo sempre concentrato le mie sensazioni su quegli aspetti che riuscivo a cogliere, coma la facilità con cui si mastica qualcosa, il modo in cui lo si mastica, le condizioni in cui rimane la bocca dopo aver ingoiato il boccone, e aspetti di questo genere.
Erano tutte cose di cui non avevo mai parlato a nessuno, o su cui non avevo mai neanche riflettuto. In quel momento, però, nel momento in cui mi era stato chiesto un giudizio, mi trovai a capire tutto questo. Mangiando quella torta mi si aprì un mondo. Ripensai a tanti cibi che avevo provato, a tanti piatti che mi avevano offerto o preparato: in quel momento riuscii a ricordare le sensazioni più volte sperimentate, riuscendo a rendermi conto di una verità che mi suonava realmente incredibile. Io avevo sempre gustato il cibo.
Non come fanno le altre persone, ma lo gustavo nei suoi aspetti più nascosti e meno evidenti, quelli a cui nessuno fa mai caso. Quelli che vengono oscurati proprio da gusto così forte, dal dolce, dal salato, dall'amaro. Io stavo riscoprendo lì, in quel momento, con quella torta, la mia possibilità di essere completo, come tutti. Se anche io stavo assaporando e gustando quella torta, allora non ero poi così diverso da chi si definisce "completo".
Finalmente, dopo anni in cui non avevo mai espresso nessun vero giudizio su ciò che mangiavo, mi sentivo legittimato a dire la mia opinione e ad esprimere una mia preferenza. Finalmente potei esclamare: "Questa torta non mi piace!"
La gioia di quella rivelazione, per me così incredibile, mi donò un'energia mai provata prima. Andai ad aprire il frigo, e cominciai a mangiare qualsiasi cosa che mi capitasse sotto mano. Presi un pezzo di formaggio e ne apprezzai la morbidezza, la consistenza delicata. Mangiai una fetta di prosciutto crudo, godendo della lieve resistenza che la fetta opponeva ai miei morsi. Provai della pasta avanzate e rimasi deluso dalla consistenza leggermente gommosa e dalla durezza che avevano assunto.
Proseguii in questo modo, assaggiando un po' di tutto, realizzando che cosa mi piaceva davvero e cosa no. Col tempo, poi, iniziai a prestare più attenzione anche agli aromi, alla fragranza e all'odore delle diversi pietanze. Scoprii aromi pungenti che sembravano risalire il naso fino alla testa, aromi lievi, quasi impercettibili e aromi delicati, quasi calcolati.
Mi sentivo veramente rinato! Ero un uomo nuovo. Quel peso che per così tanto tempo avevo cercato di nascondere, di negare, di non accettare nelle sue conseguenze, finalmente me era stato tolto! E il merito era tutto di quella torta. Presi il piatto con quel po' di dolce rimasto e uscii di casa, andando a bussare all'appartamento di Eleonora.

Continua...

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