sabato 10 dicembre 2011

A Roma, tra Dolce vita e un'intervista

Due giorni a Roma, un tour de force notevole, almeno per me, poco abituato. Strano, poi, pensare di essere lì per lavoro. Infatti martedì mattina mi sarei recato alla libreria della mia casa editrice per registrare l'intervista che poi andrà in onda su Sky, a gennaio. Ma procediamo con ordine.
Lunedì, arrivo da solo alla stazione di Roma, con un cielo grigio ad accogliermi. La temperatura più alta rispetto a Bologna, però, restituisce un clima più simile alla primavera che all'autunno. Muovo i primi passi per arrivare all'alloggio e depositare un po' di peso, quando alcune gocce cominciano a bagnarmi gli occhiali. Alzo il cappuccio e proseguo. Dopo pochi minuti, all'improvviso, una gran pioggia comincia a scendere! Sono stato costretto a ripararmi e a correre in Santa Maria Maggiore. Non che la cosa mi sia dispiaciuta, anzi! Ho potuto fare una piacevole visita della chiesa.
Una volta uscito, finalmente la pioggia ha smesso e posso raggiungere l'alloggio, sistemarmi un po' e poi ripartire per visitare qualcosa. Camminando verso il centro, passo vicino a Castel sant'Angelo, e una foto è d'obbligo.

L'avrei anche visitato, ma, ahimè, è chiuso il lunedì! Così proseguo verso San Pietro. Faccio la fila tra una marea di turisti spagnoli e finalmente entro.

Ogni volta rimango stupito della grandezza della basilica. Mi colpisce sempre. Purtroppo, però, mi infastidisce sempre anche la gente che c'è dentro. Rumorosa, chiacchierona, sempre a fare foto in un brusio che toglie qualcosa a questo luogo. In ogni caso, nulla mi impedisce di fermarmi e trovare un momento di raccoglimento o di sostare alcuni minuti di fronte alla Pietà di Michelangelo.
Uscito da lì, decido di fare una bella passeggiata sempre in zona. Passo così in piazza Navona, il Pantheon, superando la fontana di Trevi...

...e giungendo infine all'inizio di via V. Veneto, il luogo per eccellenza della Dolce Vita.

Ennio Flaiano, che collaborò con Fellini per la sceneggiatura del film La Dolce Vita, scrive nei Fogli di via Veneto: "Il film avrà per titolo La dolce vita [...]. Uno dei nostri luoghi dovrà essere forzatamente via Veneto, che diventa sempre più festaiola [...]. Come può cambiare una strada! Ora che sta arrivando l'estate salta agli occhi che questa non è più una strada, ma una spiaggia. I caffè che straripano sui marciapiedi - quanti sono? sei? sette? - hanno ognuno un tipo diverso di ombrellone per i loro tavoli, come gli stabilimenti balneari di Ostia: e non sono ombrelloni da strada, ma da festa galante." Forse oggi di quell'incanto e di quell'atmosfera non la si percepisce più, però immagino che la sera riservi ancora quel fascino.
Veniamo, ora, al martedì mattina: raggiungo la libreria e scopro che oltre a me ci sono altri 5 o 6 autori che devono registrare l'intervista. Dopo esserci sistemati, ci spiegano come procedere. Innanzitutto, a turno avremmo registrato per il programma 10libri. Ognuno aveva a disposizione 5 minuti per presentarsi e parlare del proprio libro, con qualche consiglio ai lettori. La seconda registrazione, invece, era un'intervista vera e propria per il programma Se Scrivendo: l'intervistatore ci presentava e faceva delle domande sull'opera, dandoci modo di parlare di alcune curiosità, ad esempio del titolo, dell'intento, come è nata l'idea o cose di questo genere. E' stata un'esperienza molto bella e stimolante, anche se molto emozionante! Non nego il disagio di essere così al centro dell'attenzione con la telecamera puntata contro e tutti in silenzio ad ascoltare quello che dico. Nonostante tutto lo rifarei!
E per concludere ecco una foto del mio libro, "Dove il Mistero ti condurrà" sullo scaffale della libreria: che soddisfazione!

domenica 25 settembre 2011

Hai visto com'è bello il cielo?

Vi ricordate il racconto intitolato "Il mio nome è Gustavo"? Bene, quello era incentrato sul gusto, mentre questo sulla vista. Ho in progetto di scrivere in tutto cinque racconti, uno per ognuno dei 5 sensi. Al momento ho solo questi due, ma prima o poi concluderò. Nel frattempo chiedo un piccolo favore a chi mi leggerà entrambi i racconti. Devo sceglierne uno da mandare ad un concorso (non ci sono indicazioni sul tema del racconto). Secondo voi qual è il migliore tra i due? Grazie mille per aver letto e per avermi dato il vostro parere! Buona lettura!

"Ehi, Mirella! Hai visto com'è bello il cielo?"
"Sì..."
"Non hai visto quanto è blu oggi? E non c'è nemmeno una nuvola!"
"Già..."
"Dai, Mirella, alza lo sguardo!"
Sapevo già cosa avrei visto. Preferivo continuare a fissare lo sguardo per terra.
"Insomma, Mirella, ti devo sollevare la testa a forza?"
"Ehi, ehi, lasciami! D'accordo, lo guardo...ecco! Sei contento, ora? Che seccatura..."
"Mirella, ma...come può essere una seccatura il cielo?"
"E' sempre lì, piatto e uguale. Cos'ha di così entusiasmante?"
"Piatto? Ma, Mirella...hai visto il blu quanto è intenso qui in montagna?"
Ecco il problema.
"No, non l'ho visto..."
"Dai, Mirella, non fare la spiritosa, come puoi non vederlo?"
"Non l'ho visto, punto"
Volevo sparire.
"Ma non noti la differenza col cielo di città?"
"Appena appena..."
"Ma, Mirella, c'è una differenza abissale!"
Forse per te, ma io...
"Mirella, ma...cos'hai? Sembri triste"
"Un po'..."
Finalmente se ne accorge.
"Non hai voglia di stare qui?"
"Sì che ne ho voglia"
"Allora cos'è? Ah, aspetta...hai le tue...insomma...hai capito?"
"No! Non ho le mie cose"
"Meno male...allora cos'hai? Su, parla"
Non mi capirebbe.
"Niente, dai, lascia perdere. Miei pensieri..."
"Eh, no, Mirella. Finché non mi dici perché sei triste, io insisto"
Che palle!
"Luca, per favore, non ho voglia di parlarne, ok?"
"Ma siamo amici da anni, ormai. Confidati un po'"
"E dovrei farlo proprio con te?"
"E perché non dovresti?"
"Ma...ti sei visto?"
Mi piace prenderlo in giro, mi tira un po' su di morale.
"No...evito gli specchi. Sai, no...romperli porta sfiga..."
"Ma smettila!"
"Oh, finalmente sorridi un po'!"
E' vero.
"Dai, Mirella! Che ti costa?"
"Ma lo sai che sei un gran rompi? Farti i fatti tuoi proprio no, eh?"
"Beh, mi conosci, no? Sono curioso"
E un po' ficcanaso.
"Se non vuoi dirmi perché sei triste almeno spiegami perché questo cielo non ti entusiasma!"
E' proprio quello il problema.
"Non mi entusiasma e basta. Che c'è da spiegare?"
"Eh, no, non me la dai a bere. Adesso ci sdraiamo e guardiamo il cielo"
Guarda cosa mi fa fare!
"Eccomi sdraiata, e ora?"
"Adesso, Mirella, chiudi gli occhi e fai un bel respiro"
Che secatura. Respiriamo a fondo, se no mi rompe di più.
"Bene, ora pensa al cielo"
"E poi?"
"Ma ci stai pensando?"
"Ma cosa vuoi che pensi? La distesa del cielo sempre monotona e uguale?"
"Allora non stai pensando al cielo!"
Eccolo che ricomincia!
"E cosa starei pensando?"
"Stai pensando la tua tristezza"
Zac! Una freccia ha fatto centro.

Silenzio.

"Ci hai pensato?"
"Come?"
"Mirella, hai pensato al cielo?"
"Sì...no...più o meno..."
"Allora, facciamo una cosa per volta...lenta come sei..."
Idiota...
"Ahio, Mirella! Le pacche fan male!"
"Te la meriti..."
"Va beh...chiudi di nuovo gli occhi"
"Fatto..."
"E non sospirare!"
"D'accordo, d'accordo"
"Rifai il respiro"
Ancora con questi respiri.
"Bene, ora immagina il blu del cielo"
Fosse facile.
"Immagina lo spazio immenso e aperto del cielo"
Questo è un po' più semplice.
"E ora pensa i confini del cielo"
"I confini?"
"Ah, ma allora immagini davvero!"
"Certo che lo faccio, ne dubitavi?"
"Un po'..."
"Ah, non ti fidi di me?"
"Beh..."
"Perché ci metti tanto a rispondere?"
"Dai, scherzo! Sì che mi fido"
Che bel sorriso.
"Comunque, Mirella, pensa ai confini del cielo"
"Quali confini? L'unico è il suolo, per il resto si estende all'infinitp!"
"E non è incredibile?
"Beh..."
Sì.
"Ma tu rimani triste Mirella lo vedo dai tuoi occhi"
Eccolo che torna alla carica.
"Mirella?"
"Sì?"
"Ti piacerebbe poter volare nel cielo? Libera e senza pensieri?"
"Voolare, oh-oh!"
"No, sul serio!"
"E da quando fai il serio?"
"Insomma, Mirella, ogni tanto anche io dico cose intelligenti. Ogni tanto..."
"Giusto ogni tanto, eh?"
"Hai sorriso di nuovo!"
Già, glielo devo riconoscere.
"Comunque Luca, non so se mi piacerebbe volare...e tu?"
Adesso dirà di sì e inizierà a parlarmi di nuovo del cielo, ci scommetto.
"Sai Mirella...no. Non vorrei volare"
Oh...ha detto no.
"Avresti paura, eh?"
"No, non è per quello"
Che tono serio che ha.
"Perché, allora?"
"Il bello è qui, è giù tutto vicino a me"
"Che paroloni! Come sei profondo, oggi"
"Beh...sarà la montagna..."
Sembra imbarazzato.
"Poi l'idea di volare via mi sembra quasi un fuggire dai problemi, non credi Mirella?"
"Se è così allora a volte vorrei davvero volare!"
"Ah sì?"
Sì...anche adesso sai?"
"Sono a tal punto una pessima compagnia?"
"Come? Oh, no, no, non per te"
"E come mai, allora?"
"A volte ci sono cose che pesano e che non puoi abbandonare o cambiare"
"Come no? Tutto può cambiare!"
"Tutto?"
"Tutto, ne sono convinto"
Ecco che fa la sua scena.
"Allora ti metto alla prova"
"Prego!"
"Come faresti a cambiare, ad esempio...la tua altezza!"
"Facile! Andrei in mezzo a persone più alte o più basse di me"
"Questa sì che è bella!"
"Ridi, ridi, intanto ho ragione"
"Oddio...mi vengono le lacrime dal ridere..."

Risate e poi silenzio.

"Allora, Mirella, ora ti dimostro che la mia altezza cambierebbe"
"Ok, ti ascolto"
"Prendi una persona più bassa di me"
"Ce l'hai di fronte"
"Bene. Io sono alto o basso?"
"Tra noi due sei più alto"
"Benissimo. Mettimi accanto a uno più alto di me...non so...Daniele, ad esempio"
"Beh, in questo caso saresti più basso"
"Esatto!"
"Sì, ma la tua altezza è la stessa, non l'hai cambiata!"
"Invece sì, in relazione a loro è o non è cambiata?"
"Sì, ma..."
"Mirella, sono due punti di vista diversi. Se non ti piace uno, guarda dall'altro no?"
Però! Che idea interessante.
"Ti ho vontinta?"
"Più o meno...mi sembra solo un gioco di parole..."
"Se ti convinci che la situazione è diversa, fidati, non rimane solo un gioco di parole"
Come faccio a convincermi?
"Ma...scusa...come fai a cambiare punto di vista?"
"Dipende! In che situazione?"
"Beh..."
Mi sta incastrando.
"Non so...ah, ecco!"
"Cosa?"
"Ad esempio un malato che vede tutto negativamente"
"Difficile. Che tipo di malattia?"
"Boh...qualsiasi?"
"Beh...se ha semplicemente la febbre è facile"
"Allora diciamo una malattia che dura per sempre"
"Tipo?"
"Tipo...diabete?"
"Beh...penso che bisognerebbe vedere i lati positivi"
"Che lati positivi vuoi avere in una malattia?"
Ecco che il suo argomento crolla.
"Beh, immagino che i parenti e gli amici gli presterebbero molta attenzione"
"Sai che consolazione..."
"Non si ingrassa perché si evitano dolci!"
"Dai, non scherzare! Non è mica così semplice!"
"Va bene, lo ammetto...non lo so...però..."
"Però?"
"Però sono sicuro che c'è modo di cambiare il proprio punto di vista anche in quella situazione!"
Eccolo di nuovo a ribadire la sua idea.
"Ma...posso farti una domanda?"
"Sentiamo..."
Cosa vorrà sapere adesso?
"Perché mi hai fatto proprio questo esempio?"
Zac! Una seconda freccia ha colpito il bersaglio.

Silenzio.

"Scusa, Mirella, se non vuoi rispondere lascia perdere, non fa niente"
E' insistente, ma sa anche essere gentile.
"Beh...secondo te perché te l'ho chiesto?"
"Oddio!"
"Cosa?"
"Hai il diabete!"
"No, idiota!"
Cretino.
"Meno male...ma...non è che..."
"Cosa?"
"Sì...cioè...non è che...insomma...sei malata?"
Cosa gli dico adesso?
"Sospiri...ho colto nel segno?"
"Beh...diciamo di sì..."
"Mirella, davvero? E' qualcosa di grave?"
"Sì...sono malata terminalmente..."
"Mirella..."
"No, scherzo! Sto bene! Non fare quella faccia da funerale"
"Mirella! Non dire mai più cose del genere. Non si scherza su certe cose"
Però! L'ho spaventato veramente. Sembra che ci tenga a me.
"E cos'hai, in realtà?"
"Non l'ho mai detto a nessuno, ma...sono daltonica"
"Daltonica?"
"Sì, quando vedi alcuni colori al posto di altri"
"Sì, sì, so cosa vuol dire...ma...veramente?"
"Già"
"Quindi..."
"Quindi il tuo cielo blu, per me è rosso"
"Rosso?"
"Sì, tutto tutto rosso. Il blu proprio non lo vedo"
"Ma...ma..."
E' terribile?
"E' una figata!"
"Che?"
Devo aver sentito male.
"E' fantastico" E' incredibile!"
Mi prendi anche per il culo?"
"No, no scusami Mirella, non voglio prenderti in giro, sul serio"
"troppo tardi..."
Che pezzo di...
"Mirella, ma ti rendi conto: tu vedi il mondo come nessun altro lo vede. Sei unica!"
"E secondo te io sono contenta di non vedere il blu e di essere l'unica, cioè l'anormale?"
"Anormale? E chi te lo dice?"
"Tutti vedono in un modo e io in un altro: secondo te chi è normale? Io o tutti gli altri?"
Dio, quanto mi sta facendo infuriare!
"Tu e gli altri!"
"Gran bella risposta!"
"Mirella, non sto facendo dell'ironia, davvero"
"Sì, come no!"
"Pensaci un secondo. E se fossi tu quella che vede il mondo com'è davvero e fossimo noi i malati?"
"Sì, come no..."
"Perché non potrebbe essere così, pensaci!"
"Perché la mia è una disfunzione!"
"Forse, ma forse è un dono per te. Tu sei speciale e puoi guardare il mondo in modo unico!"
"Vorrei guardarlo come tutti il mondo!"
"Mirella, non piangere"

Lacrime. Abbraccio e silenzio.

"Se incontri un genio pensi che sia anormale?"
"No..."
"Perché allora non può essere lo stesso anche per te?"
"Perché vedendo il cielo rosso io non divento eccezionale come un genio"
"E' qui che ti sbagli! Hai una posizione unica!"
"Questo è vero, ma ciò non la rende desiderabile"
"Forse, ma dal momento che la possiedi perché non farne un tuo privilegio?"
"Fosse facile..."
"Io sto provando ad immaginare il cielo rosso...ma proprio non ci riesco, sai?"
"E io vorrei immaginarlo blu, ma non ci riesco..."
Mi torna da piangere...
"Visto che siamo uguali Mirella?"

Sorriso.

"Com'è il tuo cielo rosso, come lo vedi?"
"E' un cielo che sembra non far luce"
"In che senso?"
"Le nuvole e il sole, a volte sembrano perdersi nel rossore"
"E poi?"
"Quando c'è lo smog in città prende un colore davvero triste"
"Succede lo stesso col blu"
"Qui in montagna, però, è davvero limpido: è sorprendente!"
"Sì...lo guarderesti per ore!"
"Adesso che lo guardo lo trovo davvero profondo...quasi non lo riconosco"
"Il cielo è un mistero meraviglioso, non credi?"
"Sì...è lì, così vicino e così lontano"
"Non credi che sia un po' come noi due?"
"In che senso?"
"Non ti sembra solo?"
"Sì...a volte sì"
"Così vasto che a volte vorresti riempirlo"
"Già"
"Così grande e profondo da dare le vertigini, ma al tempo stesso da affascinare"
"Hai ragione...ma perché sarebbe come noi due?"
"Io mi sento solo a volte..."
E' arrossito.
"Anche io..."
"E poi, ti è mai capitato Mirella, di sentirti grande e vuota al tempo stesso?"
"Spessissimo"
"Ti guardi mai dentro provando le vertigini per quello che trovi?"
"Sì, anche se non riesco mai a smettere di continuare a guardare"
"Esatto..."

Abbraccio e silenzio. Sorrisi.

"Luca, tu cosa vedi quando ti guardi dentro?"
"All'inizio sembra tutto buio e mi sento vacillare"
"Allora distogli lo sguardo?"
"No, si accende una luce e tutto diventa rosso"

Silenzio.

"E tu, Mirella?"
"Anche io sento le vertigini e ho spesso voglia di smettere di guardare"
"E lo fai o continui?"
"E' troppo affascinante per smettere"
"E come fai per le vertigini?"
"Ad un certo punto anche da me si accende una luce e tutto si colora"
"Di che colore diventa?"
"Blu"

mercoledì 14 settembre 2011

Gmg a Madrid: tanto...ma non troppo!

A ormai un mese dalla Gmg sembra strano tornare a pensare a quei momenti così unici e speciali. Nonostante il caldo si faccia ancora sentire l'estate mi sembra già lontana e gli impegni quotidiani cominciano a tornare. La Gmg, però, ha lasciato il segno, ne sono convinto. Alla partenza eravamo già emozionati sicuri che il viaggio avrebbe riservato tante soprese, tante gioie, ma anche tante fatiche.
Per fortuna l'inizio è stato relativamente tranquillo, escludendo il ritardo del volo e la prima delle tante cene fatte alle undici. Infatti la prima notte è trascorsa in albergo, in un vero letto, che nei giorni successivi ci sarebbe mancato. Poi, al mattino, durante la messa abbiamo sperimentato per la prima volta l'accoglienza spagnola: un calore e un entusiasmo che ci ha fatto sentire a casa.
A pranzo, poi, non mancavamo di gustare qualche specialità. Qualcuno ha provato subito la paella, mentre io, insieme ad altri, abbiamo sperimentato il rabo de toro, cioè la coda di toro: davvero tenera e ottima!
La sera, comunque, dopo un'interminabile attesa fuori dall'alloggio, entriamo in uno dei padiglioni della fiera di Madrid, pronti a sistemarci per terra in mezzo a migliaia di persone. Immaginate che camminate per arrivare in bagno, in particolare quello in fondo...

Per fortuna, poi, la colazione ci veniva data direttamente nell'alloggio.

Il nostro secondo giorno a Madrid, finalmente inizia la vera Gmg! Ci troviamo in mezzo alla città tra pellegrini arrivati da tutto il mondo, salutando, fotografando e domandando da dove provengono. L'emozione di essere lì, così diversi, ma così vicini è sempre incredibile. E' bello, in particolare guardare i volti. Ogni volto è diverso e unico. Lì a Madrid, però, c'era sempre un sorriso, uno sguardo d'intesa e un'espressione di gioia: le differenze sembravano davvero sparire.

La Gmg, però, a volte si presenta anche nella fatica. Quante file abbiamo dovuto fare da pellegrini! Tra il mangiare, le visite (ad esempio in quattro siamo andati al museo del Prado), il bagno o per entrare o accedere ad un evento: tante volte è capitato di trovarsi fermi in mezzo a oceani di pellegrini, magari sotto il sole cocente, aspettando di arrivare. Una fatica che talvolta può togliere voglia e energia.
Fortunatamente, però, la fatica e il caldo si dimenticano presto e ciò che rimane è la soddisfazione di aver raggiunto la meta, la gioia di aver condiviso il momento difficile e faticoso con amici e pellegrini. Come all'arrivo del papa. La folla ammassata, il sole che picchiava, dover tenere il braccio teso in alto pronti a scattare la foto al suo passaggio, sperando di premere il pulsante al momento giusto: tutti sforzi che diventano minimi di fronte alla gioia di ogni pellegrino presente in quel momento, pronto a urlare, cantare e gridare "Esta es la Joventud del Papa!!!" (Questa è la gioventù del papa).
La Gmg, però, non si riduce alla folla e ai numeri, come ci ricordava il vescovo della seconda catechesi. Le giornate trascorse lasciano sicuramente qualcosa di più qualcosa che va oltre l'essere stati dieci, cento o un milione! Infatti un numero indica una quantità, ma occorre domandarsi, a volte, qual è la qualità che si cela dietro quei numeri. E la Gmg di sicuro trasmette proprio questo: quei numeri sono davvero di ottima qualità! Ad esempio, colpiscono le persone che approfittano della possibilità di confessarsi, oppure il modo in cui i giovani seguono una messa o la catechesi o qualunque altro evento. Naturalmente non sempre succede così. Ogni tanto capita anche di vedere ragazzi e ragazze più distratti, magari che preferiscono divertirsi fra loro piuttosto che ascoltare il vescovo o il papa. Credo, però, che la Gmg sia speciale e che anche in questi giovani abbia lasciato il segno.

La Gmg fa dormire poco, questo bisogna ammetterlo. Ci si alza presto, si va a letto tardi, magari si dorme male nel sacco a pelo per terra oppure c'è troppo rumore o spengono le luci troppo tardi o altri inconvenienti. E' frequente, quindi, assistere a scene di questo genere...

Subito dopo, però, si è pronti a tornare in pista, a seguire un nuovo evento, a cantare, a salutare, fotografare e, cosa più importante, a pregare.

Ma arriviamo ormai alla conclusione: il penultimo giorno partenza per Cuatro Vientos, luogo della veglia col papa. Inevitabilmente ci si carica dei propri zaini, del sacco a pelo e cambio di vestiti per affrontare la notte all'aperto. Oltre al peso, occorre sopportare il caldo, il cammino fino al luogo della veglia e...

...e bisogna sapersi adattare alle condizioni del luogo!



La notte della veglia, poi, abbiamo dovuto affrontare il brutto tempo: il vento si è scatenato su Cuatro Vientos, insieme alla pioggia. Oltre alla polvere che si è alzata, si è anche sparsa la spazzatura. In più si è formato un po' di fango che ci ha sporcato per bene. Naturalmente, l'altoparlante non funzionava e seguire la veglia è stato praticamente impossibile. In più non vedevamo nemmeno il megaschermo...
Insomma, ricapitolando, in questa Gmg abbiamo dovuto sopportare tanto caldo, tanta fatica, tanto peso da trasportare, tante file, tanto vento e tanta pioggia la sera della veglia. Tante cose che potrebbero far credere che le giornate non siano trascorse poi così bene.
In realtà ogni cosa è passata, è stata superata ed è facile vedere come il "tanto" non sia mai diventato "troppo"! E poi abbiamo avuto tanto divertimento, tanta gioia, tante risate, tante amicizie, tanta unità, tante soddisfazioni e tanti incontri, in particolare uno, che, anche se è stato ostacolato il giorno della messa col papa (le particole si erano rovinate col vento e la pioggia che ha fatto crollare i tendoni delle cappelle), è stato comunque di una presenza forte e unica per chi ha saputo cercarlo, così da sperimentare l'insegnamento dell'apostolo Paolo e delle catechesi: "Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede" (Col 2, 7).

giovedì 26 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (quinta parte)

Dopo alcuni minuti, finalmente, capii tutto. Le luci si spensero e un faro si accese, illuminando il proprietario del ristorante. Aveva un microfono in mano e cominciò a dire: "Signore e signori, benvenuti questa sera alla decima edizione del concorso "Assaggia la critica"! Al tavolo centrale abbiamo l'onore di accogliere i nostri ospiti, aspiranti critici. Abbiamo preparato per l'occasione un menù davvero speciale. A fine cena, i nostri concorrenti avranno a disposizione un tavolo a testa per elaborare una critica sulla cena che sarà loro servita. Gli scritti saranno raccolti e valutati da una giuria, composta da me e da alcuni membri di una nota rivista culinaria. Il premio, ve lo ricordo, è la possibilità di essere assunti dalla rivista come critici. Bene...signore e signori, è l'ora dell'antipasto!"
L'intervento venne accolto con un caloroso applauso, al cui suono vennero riaccese le luci. Arrivarono poi i camerieri con la prima portata. Iniziava così la serata.
Io, nel frattempo, nonostante la fame e il piatto davanti a me, ero sbalordito. Una gara per critici culinari? Io? Io che ero senza gusto? Sembrava una presa in giro! Mi voltai verso Eleonora e le chiesi delle spiegazioni.
"Senti...ho ripensato molto a quello che mi hai detto. Il tuo giudizio sulla torta è stato davvero impeccabile. Rimangiandola ho dato pienamente ragione alla tua critica. I primi giorni non sai quanto mi sono depressa rendendomi conto che come cuoca facevo davvero schifo! Poi, però, ripensando a te e a questa tua...particolarità...mi è venuto in mente questo concorso, a cui non avevo mai partecipato, non sentendomi all'altezza. Mi sono detta che io e te, insieme, avremmo potuto scrivere un'ottima critica: tu descrivendo la consistenza, l'aroma, la forma e quelle cose a cui io praticamente non faccio caso, mentre io mi posso limitare al sapore! Che ne dici: non ti sembra una bella idea?"
"Beh...innanzitutto, perché non mi hai chiesto niente? Secondo: e se io non volessi fare il critico culinario? Terzo...senza offesa...se non sei brava come cuoca, come pensi di saper scrivere una bella critica?" le chiesi.
"E' vero che come cuoca sono pessima, però ti posso assicurare che quando si tratta di assaggiare non c'è sapore o ingrediente che mi sfugga! Per quanto riguarda le prime due domande...beh...tu mi hai detto che avresti fatto qualsiasi cosa per ringraziarmi, così ho pensato che..."
Sul momento decisi di non risponderle e di fingermi arrabbiato. Cominciai così a mangiare, senza farle capire che in realtà stavo attentamente masticando e valutando la qualità e la consistenza della pietanza.
Eleonora, però, sembrò prenderla male. Si demoralizzò e cominciò a mangiare controvoglia, senza prestare attenzione a ciò che mangiava. Vedendola in quello stato, non resistetti più e le dissi: "Senti...è vero che ti ho detto che avrei fatto qualsiasi cosa...è anche vero, però, che praticamente non ci conosciamo e adesso, quasi dal nulla, stiamo per iniziare qualcosa che sembra più grande di noi. Facciamo così: ripartiamo da zero".
"Cioè?" chiese Eleonora.
"Piacere, Gustavo" le dissi con un bel sorriso.
"Eh?"
"Sto facendo ciò che non ho fatto prima: mi presento, così ripartiamo da zero". Siccome continuava a non dire nulla, la esortai: "E tu? Come ti chiami?"
"Io...io sono Eleonora..." rispose, come spaesata.
Iniziammo così a parlare, o, meglio, io iniziai a parlare. Lei mi ascoltava e mi rispondeva a monosillabi. Lentamente, però, cominciò a sentirsi a suo agio, finché non iniziò anche lei a parlare.
"...e lavoro in un supermercato. Non è un gran lavoro...infatti avevo voglia di dare una svolta alla mia vita, sai? E...adesso...questa sera...me ne stai dando l'occasione...vediamo di non farcela sfuggire, eh?" le dissi ad un certo punto, sorridendole.
Eleonora fu come ridestata da queste parole. Le tornò la voglia di vincere e partecipare e, soprattutto la voglia di assaggiare il cibo davanti a noi.
Da quel momento cominciò fra noi una stupenda intesa. Ognuno assaggiava ed esprimeva il suo giudizio. Lei sugli ingredienti e il loro sapore, mentre io sulla forma della pietanza. Eravamo una coppia davvero incredibile!
A fine serata, soli al tavolo, cominciammo a scrivere una critica alla cena. Ne elogiammo diversi aspetti, mettendo in luce le qualità di alcune portate, nella freschezza dei sapori e degli aromi, mentre criticammo la consistenza e la coesione di alcune portate.
I particolari che criticammo, ovviamente, possono essere ritenuti trascurabili, in quanto non andavano a danneggiare la qualità complessiva della pietanza, ma decidemmo di essere spietati ed estremamente particolareggiati, così da mettere in mostra la nostra capacità di analisi e di critica.
Insomma, fu una della serate più belle della mia vita! Ero in compagnia della ragazza più stupenda che avessi mai conosciuto e avevo l'opportunità di dare una svolta alla mia vita!
La serata terminò con la consegna dei nostri scritti: avremmo solo dovuto aspettare il risultato. Ci dissero che li avrebbero comunicati dopo una settimana. E oggi, è esattamente passata una settimana. Io ed Eleonora stiamo andando al ristorante, per sapere il risultato.
In questa settimana ci siamo conosciuti meglio. Dopo quella cena, davanti alla porta di casa, ci siamo scambiati il nostro primo bacio.
Nei giorni successivi abbiamo quasi sempre mangiato insieme. Eleonora, anche se non è una cuoca eccezionale, per me è comunque molto brava. Ad esclusione dei dolci: quelli sono il suo tallone d'Achille!
Tra di noi, ci siamo detti che anche se non vincessimo, saremmo comunque contenti. Infatti è stata quella serata che ci ha uniti, e non sarà certo la sconfitta che ci dividerà. Volevo una svolta nella mia vita, e forse pensavo di riceverla da quel concorso. Adesso, però, quella svolta, penso di averla già imboccata, e, lasciatemelo dire, ha un sapore inconfondibile: il sapore della vita!

Fine

martedì 24 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (quarta parte)

Quando lei mi aprì timidamente, io, col mio entusiasmo, la travolsi! Cominciai a raccontarle tutto, riversandole, come un fiume in piena, tutte le mie considerazioni e rivelazioni appena avute.
Eleonora non capiva, cercava di fermarmi, di pormi un freno, di capire, ma ero troppo eccitato per ascoltarla. Proseguivo senza neanche rendermi conto di cosa stavo dicendo! Alla fine, quando mi calmai, lei mi disse: "Non ho capito praticamente nulla di quello che mi hai detto...la torta...ti è piaciuta o no?"
Io scoppiai a ridere a questa domanda. Poi le dissi: "Devi sapere una cosa: io, sin dalla nascita, non ho il senso del gusto. No, non ti preoccupare, non è così terribile" la rassicurai, vedendo la sua faccia sconvolta a questa mia rivelazione. "Fino a poco fa, mangiavo di tutto, non potendo assaporare nulla. Quando mi hai dato la tua torta, però, ho cercato un modo per esprimerti un giudizio sincero. Ho così mangiato il tuo dolce facendo attenzione alle sensazioni che provavo, sperimentando così qualcosa di nuovo! Mi sono accorto di cose che avevo sempre percepito ma a cui non avevo mai fatto caso: la consistenza, la forma, l'odore, l'aspetto...e tutto quello che non passa per il gusto! E in questo modo, ho capito una cosa."
"Cosa?" riuscì a chiedere Eleonora che ancora non sapeva se credermi.
"La tua torta non mi è piaciuta tanto. Si sbriciola, ha una forma incerta, l'odore del cacao non è molto intenso, si mastica male e lascia la bocca legata."
"Allora non ti è piaciuta?" mi chiese la ragazza appena le descrissi queste mie sensazioni.
"Sì, ma non è questo il punto! Senza la tua torta non avrei mai scoperto tutto questo! Mi capisci? Posso finalmente dire che una pietanza mi piace e un'altra no! Grazie mille! Voglio sdebitarmi: chiedimi qualsiasi cosa!"
Eh, già! Le dissi proprio così. Non so cosa mi prese in quel momento. Era come se non avessi più alcuna inibizione. Eleonora, però, non condivideva il mio entusiasmo. Non mi credette, infatti, e mi cacciò fuori dal suo appartamento, urlandomi che non c'era bisogno di inventare certe storie assurde per dire he la torta non mi era piaciuta. Cercai di ribattere, ma non me ne diede il tempo, sbattendomi la porta in faccia.
L'eccitazione, lentamente, scemò, fino a lasciarmi una grande amarezza. Avevo l'impressione di aver già perso tutto. Speravo, infatti, che Eleonora mi avesse capito e speravo che potesse essere l'inizio per una conoscenza e, chissà, magari una storia.
In quei giorni, però, non si fece vedere, e le mie speranze sembravano destinate a morire. Passai una settimana lavorando svogliatamente, saltando diverse volte i pasti, buttandomi sul letto senza far nulla.
Un giorno, però, suonò il campanello. In me si riaccese la speranza che fosse lei. Aprii così la porta, ma non vi trovai nessuno. Guardai nel corridoio, ma era vuoto. Finalmente abbassai lo sguardo e vidi una busta.
La raccolsi: non riportava nessun nome. La aprii e vi trovai un breve messaggio di Eleonora. Ero piacevolmente sorpreso! C'era scritto di farmi trovare il giorno dopo a cena in un tal ristorante, vestito elegante, per le otto di sera. Mi stava forse invitando a cena? Forse per chiedermi scusa?
Non riuscivo a capire, però decisi, senza pensarci due volte, di andare all'appuntamento. Iniziò così una lunga attesa fino al giorno successivo. Non stavo più nella pelle! Mi chiedevo che cosa sarebbe successo, che cosa mi aspettava, che cosa mi avrebbe detto. Più ci pensavo, poi, più mi preoccupavo!
Finalmente, dopo un'attesa che mi sembrò interminabile, arrivò la sera. Arrivai là con leggero anticipo. Rimasi fuori dal ristorante ad aspettare. Verso le otto, ancora non si vedeva. Passarono cinque minuti e di Eleonora nessuna traccia. Dieci minuti...quindici e ancora niente. Ero terrorizzato: mi aveva forse preso in giro?
Per fortuna mi sbagliavo e sentii una mano sulla spalla: era lei! "Cosa ci fai qui fuori? Dai, entra: siamo in ritardo!" disse con tono sbrigativo.
"Ah...ma...io..." cominciai a dire per giustificarmi.
"Niente scuse. Muoviti" mi ordinò. Notai in quelle parole una certa rigidità nel tono e nei movimenti, come non fossero spontanei e naturali.
"D'accordo" mi limitai a risponderle, non osando ribattere.
Mi portò dentro il ristorante, facendomi sedere ad un tavolo, al centro del salone, in una tavolata molto lunga, in comune con numerose altre persone. Non capivo perché dovessimo sedere vicino a persone che neanche conoscevamo (o almeno io non conoscevo) e in più in mezzo alla sala, al centro dell'attenzione.
Volevo domandarlo a Eleonora, ma non riuscii a trovare il momento per chiedere nulla, siccome lei cercava in ogni modo di sfuggire al mio sguardo. O guardava dentro la borsetta, o fingeva di guardare il cellulare, o si guardava attorno, o si alzava come se volesse controllare qualcosa, per poi tornare e continuare ad ignorarmi.
Io non potei fare altro che pazientare. Nel frattempo mi chiedevo dove fosse il menù, e mi chiedevo perché nessuno ci venisse a servire. La cosa più strana, però, era l'atmosfera di attesa. Gli occhi erano puntati sul nostro tavolo e tutti aspettavano qualcosa. Ma cosa?

Continua con la conclusione...

domenica 22 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (terza parte)

Andai a sedere in cucina, e scoprii il contenuto del piatto. C'era una fetta di torta al cioccolato. L'aspetto non era dei migliori, lo devo ammettere. Tendeva a sbrciolarsi, e non sembrava ben coesa. Tentai, infatti, di prenderla in mano, ma si staccò in due pezzi. Presi così un cucchiaino.
Raccolsi un pezzo sulla posata e me la avvicinai agli occhi. Il colore non era così intenso come altre torte al cioccolato che avevo visto. "Forse non ha messo abbastanza cacao", pensai.
Poi, misi in bocca il cucchiaino e cominciai a masticare. La consistenza era davvero particolare. Tendeva a sbriciolarsi, dando poca soddisfazione: non la si riusciva, infatti, a masticare, perché tendeva a infilarsi tra i denti. Oltretutto, mi trovai con la bocca leggermente impastata, per cui la lingua non riusciva a scorrere sui denti, che sembravano diventati ruvidi.
Continuai comunque a mangiarla. Più andavo avanti, però, più mi convincevo che c'era qualcosa che non andava. Sia chiaro: non che la torta non mi piacesse, però mi rendevo conto che non era all'altezza di un cuoco. La consistenza e la forma erano imperfette. Non avendo mai potuto gustare qualcosa, avevo sempre concentrato le mie sensazioni su quegli aspetti che riuscivo a cogliere, coma la facilità con cui si mastica qualcosa, il modo in cui lo si mastica, le condizioni in cui rimane la bocca dopo aver ingoiato il boccone, e aspetti di questo genere.
Erano tutte cose di cui non avevo mai parlato a nessuno, o su cui non avevo mai neanche riflettuto. In quel momento, però, nel momento in cui mi era stato chiesto un giudizio, mi trovai a capire tutto questo. Mangiando quella torta mi si aprì un mondo. Ripensai a tanti cibi che avevo provato, a tanti piatti che mi avevano offerto o preparato: in quel momento riuscii a ricordare le sensazioni più volte sperimentate, riuscendo a rendermi conto di una verità che mi suonava realmente incredibile. Io avevo sempre gustato il cibo.
Non come fanno le altre persone, ma lo gustavo nei suoi aspetti più nascosti e meno evidenti, quelli a cui nessuno fa mai caso. Quelli che vengono oscurati proprio da gusto così forte, dal dolce, dal salato, dall'amaro. Io stavo riscoprendo lì, in quel momento, con quella torta, la mia possibilità di essere completo, come tutti. Se anche io stavo assaporando e gustando quella torta, allora non ero poi così diverso da chi si definisce "completo".
Finalmente, dopo anni in cui non avevo mai espresso nessun vero giudizio su ciò che mangiavo, mi sentivo legittimato a dire la mia opinione e ad esprimere una mia preferenza. Finalmente potei esclamare: "Questa torta non mi piace!"
La gioia di quella rivelazione, per me così incredibile, mi donò un'energia mai provata prima. Andai ad aprire il frigo, e cominciai a mangiare qualsiasi cosa che mi capitasse sotto mano. Presi un pezzo di formaggio e ne apprezzai la morbidezza, la consistenza delicata. Mangiai una fetta di prosciutto crudo, godendo della lieve resistenza che la fetta opponeva ai miei morsi. Provai della pasta avanzate e rimasi deluso dalla consistenza leggermente gommosa e dalla durezza che avevano assunto.
Proseguii in questo modo, assaggiando un po' di tutto, realizzando che cosa mi piaceva davvero e cosa no. Col tempo, poi, iniziai a prestare più attenzione anche agli aromi, alla fragranza e all'odore delle diversi pietanze. Scoprii aromi pungenti che sembravano risalire il naso fino alla testa, aromi lievi, quasi impercettibili e aromi delicati, quasi calcolati.
Mi sentivo veramente rinato! Ero un uomo nuovo. Quel peso che per così tanto tempo avevo cercato di nascondere, di negare, di non accettare nelle sue conseguenze, finalmente me era stato tolto! E il merito era tutto di quella torta. Presi il piatto con quel po' di dolce rimasto e uscii di casa, andando a bussare all'appartamento di Eleonora.

Continua...

venerdì 20 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (seconda parte)

Era una mia vicina di casa. Aveva più o meno la mia età (scoprii in seguito che aveva due anni in meno di me). Si chiamava Eleonora. Bussò un giorno alla mia porta. Al vedermela lì, rimasi folgorato! Portava un grembiule da cucina, e aveva i capelli un po' arruffati, probabilmente dal calore dei fornelli su cui stava cucinando. I suoi capelli rossi mi colpirono: sembrava quasi un cespuglio! E non lo dico in senso negativo, sia chiaro, anzi! Mi piacevano così "al naturale". Anche il suo volto, un po' sudato dal calore della giornata e della cucina le dava davvero un senso di spontaneità.
Ricordo che la guardai con stupore, senza dire una parola. Non capivo che cosa volesse, e perché avesse bussato alla mia porta. Fu lei ad interrompere il silenzio.
"Posso...posso chiederti un favore?" mi chiese senza guardarmi in faccia, forse per vergogna.
"Sì...sì, dimmi" le risposi.
"Vedi...sto studiando per diventare cuoca...solo che..." cominciò.
"Che?" la esortai.
"Non ho nessuno a cui chiedere di provare ciò che preparo...quindi...mi chiedevo...se...ecco...tu...".
"Io...cosa?" chiesi, continuando a non capire.
"Potresti assaggiare quello che ho preparato?" disse prendendo coraggio, mostrandomi un piatto che teneva in mano, che prima non avevo notato.
"Come?" domandai.
"Non ti va? Non hai fame? Se vuoi te lo lascio, poi mi sai dire...non devi per forza mangiarlo subito".
"Beh...ecco..." cominciai a dire, non sapendo come continuare e come farle sapere che non avrei mai potuto gustare il suo piatto.
"Se non lo vuoi provare non c'è problema..." disse con un tono deluso. "Scusa se ti ho disturbato." Eleonora si voltò e cominciò a tornare verso il suo appartamento.
Non so cosa mi prese in quel momento, però, quasi d'istinto, le urlai: "No, aspetta! Lasciami il piatto, lo assaggerò!"
La ragazza mi guardò raggiante, finalmente negli occhi, mostrandomi uno sguardo davvero caloroso. Mi porse il piatto, diventando tutta rossa, riuscendo a borbottare un "grazie", per poi correre subito in casa sua.
Mi trovai così col piatto in mano, sulla porta di casa mia, con il compito di assaggiare un cibo che non avrei mai potuto gustare. Rientrai, pensando ad un modo per non deludere la ragazza.
Inizialmente mi venne l'idea di chiamare i miei e chiedere a loro di assaggiare il piatto, così da avere un'opinione da riferire. Scartai subito l'idea, però. Mi sembrava ingiusto affidare a qualcun altro una cosa che era stata chiesta a me personalmente.
In un secondo momento pensai di fingere. Di elogiare il piatto, il suo sapore, magari ispirandomi ad internet, da qualche recensione. In fondo non sarebbe stato così difficile inventarsi un giudizio. Dopo poco, però, scartai anche questa possibilità. Se il piatto cucinato non era buono? Avrebbe subito capito che mentivo, dando così una pessima immagine di me.
Arrivai così alla terza ipotesi: dirle la verità, e farle sapere che non avevo il gusto. Così avrebbe capito. A quel punto, però, forse non avrebbe più bussato alla mia porta. In quel momento, infatti, questa idea mi tormentava. Volevo già rivederla, e speravo di poter parlare un'altra volta con lei, magari non più sulla porta, ma seduti.
Sommerso nei miei dubbi, presi una decisione. Pensai che era inutile arrovellarsi in quel modo, così mi dissi che era meglio agire: avrei intanto mangiato il suo piatto. Poi avrei cercato una soluzione.

Continua...

martedì 17 maggio 2011

Il mio nome è Gustavo (prima parte)

Il mio nome è Gustavo. Ironia della sorte! Se i miei genitori avessero saputo, avrebbero sicuramente scelto un altro nome. Infatti, sin dalla nascita, ho un terribile difetto: non possiedo il senso del gusto. Capirete che è una situazione davvero strana. Prima di accorgersene, i miei genitori ci hanno messo davvero tanto. Finché ero piccolo non potevo parlare o esprimere nulla. Mangiavo sempre di tutto e non mi lamentavo mai. Mia mamma diceva sempre che ero un bravissimo bambino.
Un giorno, però, mi vide in giardino: stavo mangiando dell'erba e del fango. Li masticavo e li ingoiavo tranquillamente, senza sentire nessun sapore, né dolce, né amaro. La mamma quel giorno mi sgridò duramente, intimandomi di non farlo mai più. Io, però, piccolo com'ero, non l'ascoltai e mi trovai altre volte in giardino a mangiare ciò che mi capitava sotto mano. Mia mamma, allora, molto preoccupata di questo mio comportamente, mi portò da un dottore, descrivendogli la situazione. Fui così visitato, e dopo lunghe analisi, ebbero la terribile risposta. Non avevo il gusto!
Ora penserete che dev'essere una sensazione terribile non poter gustare il dolce, il salato o l'amaro. In realtà, per me che non ho mai provato cosa voglia dire gustare qualcosa, non è mai stato un vero problema. Innanzitutto, per fortuna, è un mio difetto che si nasconde facilmente. Infatti nessuno, guardandomi in faccia, può prendermi in giro dicendomi: "Tu non hai il gusto!". Al massimo mi guardavano e mi dicevano che avevo il naso grosso, cosa che mi ha sempre dato molto fastidio.
In ogni caso l'assenza di gusto mi ha sempre permesso di mangiare ogni cosa. Se avevo fame, mangiavo, dolce o salato che fosse. Se non avevo fame, invece, non toccavo cibo. Qualunque cosa fosse commestibile, per me andava bene!
Da piccolo, poi, ho sempre saputo trarre vantaggio da questa mia mancanza. Infatti, senza far sapere a nessuno che mi mancava il gusto, proponevo strane scommesse ai miei compagni. Ad esempio, ricordo una scommessa in particolare. Scommisi con un compagno che avrei mangiato insieme un po' del primo, del secondo e del dolce, in un solo boccone! Ricordo che in mensa, quel giorno, c'era risotto alla milanese, con lo zafferano, hamburger, purè e crostata di prugne. Io, disinvolto, mischiai le tre portate e mangiai tranquillamente, sorridendo alle facce schifate ed esterrefatte dei miei compagni. In particolare ricordo la faccia arrabbiata, delusa e stupita del mio amico che aveva scommesso le sue figurine. Dopo quella vittoria riuscii a completare il mio album dei calciatori!
In casa, però, questo mio difetto si rivelava un vero e proprio peso. Mia mamma e mio papà vivevano in un costante disagio. Ogni volta che mangiavamo insieme dovevano trattenersi da ogni tipo di commento. Il massimo che potevano concedersi erano gli apprezzamenti sul profumo. Per il resto, però, non volevano mai dire nulla che ricordasse la mia mancanza.
Io, però, per infastidirli, mi divertivo a prenderli in giro, facendo battute come: "Mh! Senti che bontà questa pasta! Un sapore davvero sublime!". Mia mamma andava su tutte le furie! Sembrava quasi che fosse lei a non avere il gusto!
Crescendo, poi, ho imparato a trattenermi e a non infastidirla più. Appena possibile, poi, ho cercato una casa in cui stare, così da non vivere più il disagio di questi pasti silenziosi e imbarazzati.
Ricordo che, quando ancora vivevo con i miei, ci fu un periodo in cui ebbi l'idea di fare il cuoco! Ero stato ispirato dalla figura di Beethoven. Se lui era un genio della musica ed era sordo, io sarei stato un genio ai fornelli! In realtà...ero un vero disastro! Non riuscivo mai a dosare le giuste quantità e a creare l'equilibrio tra le pietanze. Fui molto frustrato per questo, ma presto mi passò, insieme all'idea fissa di fare il cuoco.
Finiti i miei studi, trovai un lavoro che non c'entrava nulla con ciò che avevo appreso a scuola. Era un lavoro pratico, presso un supermercato. Non era complicato. Forse un po' faticoso, ma comunque mi dava da vivere. Dopo aver accumulato un po' di soldi, infatti, mi diede la possibilità di affittare un piccolo appartamento, così da vivere da solo.
Finalmente stavo bene! Mangiavo ciò che volevo e non dovevo preparare pranzi per nessuno. Non dovevo niente a nessuno e nessuno mi doveva niente, eccetto i miei genitori, ovviamente. Ogni tanto, infatti, andavo a trovarli, o li invitavo da me (quelle volte ordinavo sempre d'asporto!).
Avevo una vita tranquilla e abbastanza serena. Forse un po' in ombra, però mi piaceva. Tutto mi sembrava procedere alla perfezione, finché non ho incontrato lei.

Continua...

giovedì 21 aprile 2011

Li amò sino alla fine

"Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine" (Gv, 13, 1).
Il Giovedì Santo, di solito, lo si ricorda come il giorno della lavanda dei piedi. Gesù lava i piedi ai suoi discepoli, in un gesto di umiltà e di grande amore. Poi la reazione di Pietro che, almeno a me, fa sempre un po' sorridere. "'Non mi laverai mai i piedi!'. Gli rispose Gesù: 'Se non ti laverò, non avrai parte con me'. Gli disse Simon Pietro: 'Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo'".
Ma oggi, mi colpisce un'altra cosa. Poche parole, dette dall'evangelista, prima ancora di parlare del gesto di Gesù: "li amò sino alla fine".
Poche parole che rivelano una grandezza infinita, l'amore eterno di Dio. Gesù non abbandona, non si arrende e non trascura nessuno dei suoi amici. Sa che sta per essere tradito da Giuda, che sta per essere catturato e poi messo in croce. Sa tutto questo, ma non si lascia fermare. Fino all'ultimo pensa ancora ai suoi amici, al prossimo, a noi.
Da questo scaturisce la lavanda dei piedi, da questo ci sarà la preghiera nell'orto degli ulivi, da questo le preghiere sulla croce e le ultime parole a Maria e a Giovanni. Da questo, poi, si ha il culmine del mistero della Croce, della Sua morte e risurrezione.
Un amore eterno: ci precede dall'eternità, ci tocca nella nostra breve esistenza e prosegue ancora dopo di noi, "sino alla fine", cioè per sempre. Scrive Kierkegaard: "Ammettiamo che un uomo, umanamente parlando, ami Dio con rettitudine di cuore; ahimè, Dio lo ha amato per primo, Dio lo precede di un'eternità - così indietro resta l'uomo".
Oggi, in modo particolare, penso che ci venga ricordato tutto questo. Oggi, che inizia il triduo pasquale che culminerà tra la notte di sabato e domenica. Oggi, che stiamo per rendere nuovamente vivo e presente quel mistero così grande che è il centro e il culmine della vita del cristiano.


lunedì 17 gennaio 2011

Notte taciturna

Notte taciturna,
perché così immobile?
Spero,
aspetto
e tremo.
Non ti disturbo per timore.
Notte indefinita,
quando sei iniziata?
Ripenso al tempo,
al tuo tempo,
notte senza fine.
Cosa vuoi da me?
Solo una stella chiedo.
Una stella di sonora luce.