martedì 16 marzo 2010

Alice in Wonderland


Alzi la mano chi, prima di essere andato (o di andare) a vedere "Alice in Wonderland", ne ha letto una recensione, oltre che vedere un trailer. Ora, invece, la alzi chi si è fidato solo del nome di Tim Burton e Johnny Depp, ed è andato (o andrà) a vederlo solo per questo. Penso che i primi saranno una netta minoranza.
"Alice in Wonderland" ha indubbiamente il suo fascino. Le aspettative a inizio film sono alte. Il regista di solito non delude e anche Johnny Depp ha il suo merito nell'attirare spettatori. Purtroppo, però, maggiori sono le aspettative, maggiore risulta la delusione nel caso si fallisca l'obiettivo.
La storia del film parte con buone premesse. La bambina, figlia di un padre sognatore, amante dell'impossibile, continua ad avere lo stesso incubo: sogna di cadere nella cavità di un albero, seguendo un coniglio bianco col panciotto, finendo in un mondo popolato da strane creature. L'incubo si ripete per anni, anche se la bambina è ormai cresciuta.
Un giorno, durante una festa, Alice vede un coniglio bianco. Incuriosita, decide di seguirlo, approfittandone per sfuggire alla festa, finendo così nella cavità dell'albero. "La stessa dei suoi incubi", è la prima cosa che si pensa. Non è la stessa cosa, però, che penserà Alice, che per quasi tutto il film crederà di vivere un sogno, in maniera poco credibile e convincente.
Il film inizia così a deludere. Burton sembra aver perso un po' l'essenza del romanzo di Lewis Carroll. Se lo scrittore giocava con le parole, il senso del gioco e della meraviglia, l'assurdo, in cui comunque si manteneva una forte logica, il regista tende a perdere questi aspetti, concentrandosi principalmente sull'impossibile (che poi, alla fine, impossibile non è) e sulla possibilità di realizzare i propri sogni.
In più, se l'Alice del romanzo è quella bambina meravigliata e stupita di fronte al mondo fantastico in cui si trova, nel film, Alice perde tutto il suo stupore. Non sembra meravigliarsi più di nulla. Anzi, è pronta a combattere e a sconvolgere gli eventi.
Infine, una nota sul Cappellaio Matto (Johnny Depp). L'interpretazione è ben riuscita, anche se sembra già vista. Strappa qualche sorriso, ma non eccelle. Burton, purtroppo, facendo di Depp il suo cavallo di battaglia, dando molto più spazio al Cappellaio di quello necessario, ha creato una Alice che non sembra la vera protagonista.
In conclusione, il film poteva sicuramente offrire di più. Risulta essere semplice e senza troppe pretese. Sicuramente adatto e divertente per i più giovani, ma insipido per chi ha letto il romanzo, ha visto il cartone animato o, comunque, cerca qualcosa di originale e innovativo.

giovedì 11 marzo 2010

Era lì: sorrideva

Era bellissimo. Imponente e bellissimo. Sembrava proprio una roccia, lì in piedi, dopo il brutto tempo, con quel sole che brillava dopo giorni di precipitazioni.
Aveva due occhi unici. Ad un primo sguardo, sembravano occhi identici, dello stesso colore. Ma ad un attento esame, l'occhio destro rivelava una leggera imperfezione, come fosse strabico. Uno strabismo fine, però. Gli dava un tocco di eleganza.
Aveva anche un naso buffo. Non si poteva fare a meno di riderne. Poi ci si sentiva in colpa, ma almeno si rideva davvero di gusto. Una di quelle risate spontanee, disinteressate: genuine, insomma!
Il sorriso, però, era il suo forte. Sempre a trentadue denti. Ampio, ma mai forzato. Accogliente, ironico. Sembrava quasi prenderti in giro, ma, probabilmente, vedeva solo più in là della realtà. Aveva già capito tutto dalla vita. Sapeva già cosa avrebbe fatto, dove sarebbe arrivato. Non aveva alcuna incertezza. E lo si capiva al primo sguardo. Quando passavi e lo vedevi lì, in piedi, non si poteva fare a meno di pensare di voler essere un po' come lui.
Ricordo bene il giorno in cui lo incontrai per la prima volta. Portava una gran bella sciarpa rossa, quasi fiammeggiante. Sulla sua pelle chiara risaltava notevolmente, facendolo quasi impallidire di più.
Ricordo che passavo per il parco, tornando da scuola. Era una giornata "no". Il quadrimestre stava per finire, e avevo appena preso un quattro in matematica. Che rabbia quel giorno! Avrei preso a calci la prima cosa che mi fosse capitata sotto i piedi!
Mentre imprecavo fra me e me, lo vidi, lì, nel parco, sorridente, davvero splendido. Mi fermai incantato. La prima cosa che pensai fu proprio "vorrei essere come lui!". Mi avvicinai e lo salutai. Non rispose. Mi sorrise, sì. Mi guardò. Ma non parlò.
Gli feci un cenno con la mano, allora. Restò fermo, ma sono quasi sicuro che mi fece l'occhiolino. A quel punto notai il suo naso. Gli risi in faccia e gli puntai il dito contro. Dopo poco mi vergognai e penso di essere diventato tutto rosso. Notai il suo sguardo cambiare. Mi stava un po' rimproverando, ma, nonostante tutto, il suo sorriso non cambiò neanche un po'.
Dopo essermi ripreso dalla risata, lo guardai dritto negli occhi, mi feci serio, e gli dissi di aver preso quattro in matematica. Non disse nulla. Continuò a sorridere. Mi sentii a disagio. Qualcosa dentro di me stava reagendo.
Cominciai a sudare. Divenni nervoso e iniziai a giustificarmi. Gli dissi che il compito era difficile. Gli dissi che la prof era stata stronza (sì, gli dissi così! Non vi dico come mi guardò dopo...); che mi ero fatto prendere dall'agitazione, che avevo solo sbagliato dei calcoli, ma non il procedimento e scuse di questo genere.
Dopo avergli vomitato addosso tutte queste scuse, calò un silenzio imbarazzante. Volevo arrabbiarmi con lui per avermi messo così a disagio, ma non ci riuscii. Nonostante il suo sguardo mi guardasse con rimprovero, il suo largo sorriso era comunque caloroso e comprensivo.
Abbassai lo sguardo, feci un respiro, poi tornai a fissarlo in quegli occhi così sinceri. Gli dissi la verità. Non avevo studiato e avevo sperato di cavarmela con dei bigliettini, che la prof mi aveva scoperto.
Mi sentii un verme e riabbassai gli occhi. Era freddo, era pieno inverno, e un brivido mi avvolse. Cominciai a pensare che stessi perdendo tempo. Un colpo di vento più forte del solito mi scosse dai miei pensieri e in quel momento ebbi l'impressione che lui si fosse mosso, così alzai di nuovo lo sguardo.
Si era tolto la sciarpa, che ora penzolava su una spalla. Lo fissai sbalordito: mi stava dando la sua sciarpa! Ero in imbarazzo. Non sapevo cosa dire e fare. Cominciai a scuotere il capo, ma lui insistette a lasciare la sciarpa così. Incerto sul da farsi, avvicinai lentamente la mano per prendere quella bellissima sciarpa rossa. Lui non si mosse e continuò a sorridere, così alla fine la presi, fino a mettermela al collo. Era calda, nonostante tutto.
A quel punto, guardai l'orologio e vidi che si stava facendo tardi. I miei mi aspettavano a casa. Sentendomi in colpa a troncare così il nostro incontro, cominciai a scusarmi. Lui non ci badò, e mi sorrise comprensivo.
Lo ringraziai tantissimo prima di lasciarlo. Ricordo bene quel momento. Cominciai a correre per andare verso casa e prima di uscire dal parco mi voltai per guardarlo un'altra volta. Lo osservai l'ultima volta: fermo, sorridente, imponente e bellissimo, illuminato da un raggio di sole.
Appena a casa raccontai ai miei genitori del quattro e di come avevo tentato di copiare. Ammisi le mie colpe e parlai sinceramente mostrandomi in colpa per quello che avevo fatto e deluso dal voto che mi avrebbe rovinato la pagella del quadrimestre. I miei furono comprensivi. Si arrabbiarono, mi sgridarono, ma capirono quanto mi costò dire la verità.
Non raccontai loro del mio incontro (per la sciarpa, dissi che me l'aveva regalata una compagna). Era stato qualcosa di speciale, di unico ed irripetibile. Un incontro, quasi del destino. Qualcuno l'aveva messo lì per me.
Il giorno dopo speravo di incontrarlo di nuovo, ma sapevo che le speranze erano minime. Uscendo di casa avvertii il calore del sole, come quella giornata non sarebbe stata grigia come le precedenti. Pian piano, però, divenni sempre più certo che non l'avrei incontrato nuovamente.
Infatti, giunto al parco, arrivai lì dove stava il giorno prima, e ormai non c'era più nulla di lui. Di lui, solo un mucchietto era rimasto lì, irriconoscibile. Se non fosse stato per il naso, quasi avrei pensato di averlo confuso con un altro.
Invece era lui. Quel raggio di sole che il giorno prima lo faceva splendere, l'aveva fatto scivolare via. Ora rimaneva solo una pozza bagnata, a ricordo di quella meravigliosa persona, una vera opera, un vero uomo, anche se di neve.
Era stato in grado di ascoltare, di sorridere, di non distogliere lo sguardo e di donare, rinunciando a tutto ciò che aveva, per dare a chi aveva davvero bisogno.