giovedì 23 dicembre 2010

Buon Natale!

Questo semestre, in università, ho seguito un corso di letteratura italiana. Nella seconda parte abbiamo parlato di favole (non fiabe), apologhi e bestiari. Ispirato dai testi letti, ho scritto una breve storia di Natale. La definirei come una favola o un apologo, anche se forse vuole semplicemente essere un racconto. Per chi si chiedesse cos'è un apologo, è un racconto con alla fine una morale esplicita o implicita. Beh...non aggiungo altro, se non: attenti alla differenza tra natale e Natale! Buona lettura!

Il lupo a Natale

La vigilia di Natale, il lupo famelico decise di andare a comprare i regali per i suoi lupetti. Scese così in città, pronto a fare delle tranquille spese, in quel gioioso giorno in cui era pronto ad abbandonare la sua voglia di cacciare e ingannare.
Una volta arrivato, si diresse subito nel grande centro commerciale. Fuori, una povera donna, porgeva la mano, sperando in una elemosina. Il lupo, vedendola, si impietosì e le diede qualche monetina. La donna lo ringraziò calorosamente. Mentre entrava, il lupo sentì le altre persone borbottare e lamentarsi di quella signora che elemosinava fuori dalla porta. "Non dovrebbero farla stare qui!". "Rovina l'atmosfera natalizia!".
Il lupo, perplesso, proseguì. Cominciò a guardare i vari negozi del centro commerciale. Superò quello di articoli sportivi, quello di videogiochi e quello di vestiti, fino a che non arrivò davanti ad un negozio di giocattoli. Appena entrato, però, il lupo si spaventò! Il locale era gremito di gente che arraffava, comprava e letteralmente lottava per guadagnare l'ultimo gioco o semplicemente un posto in fila. Era un vero delirio!
Il lupo, però, pensò che era comunque la vigilia di Natale, e sicuramente la gente era davvero più buona. Così, tranquillamente, si mise a guardare i vari scaffali. Ad un certo punto, vide un bellissimo pupazzo a forma di maialino! Era perfetto per il suo primo lupetto! Si avvicinò così per prenderlo e guardarlo, quando, un secondo prima che la sua mano lo afferrasse, una signora lo anticipò e lo guardò dritto negli occhi, con uno sguardo famelico e gli disse: "L'ho preso prima io, quindi è mio". "Un perfetto sillogismo!", pensò il lupo, che era un po' ignorante e ingenuo.
Non avendo più il pupazzo, guardò ancora tra gli scaffali, convinto di trovare un regalo migliore. Trovò, infatti, un pupazzo, più grande del precedente, a forma di agnellino. "E' stupendo!", pensò. Si avvicinò così per prenderlo. Ne erano rimasti soltanto due. "Questa volta non mi anticiperanno", si disse il lupo. Così si avvicinò e lo prese in mano. Era molto soffice e caldo. La lana dell'agnello era stata ricreata in maniera perfetta, secondo il lupo. E lui, di agnelli, se ne intendeva davvero!
Era già convinto di prenderlo, quando due uomini gli si avvicinarono. "Compri l'agnello, eh?" chiese il primo. "Sì!" rispose soddisfatto il lupo. "Grave errore, amico mio" commentò il secondo, scuotendo la testa. "Perché?" domandò preoccupato il lupo. "L'anno scorso un mio amico lo comprò, e dopo un giorno i suoi figli già non lo volevano più! L'ha dovuto buttare via subito!" spiegò il secondo. Il lupo, col dubbio insinuatogli dall'uomo, si convinse che stava comprando la cosa sbagliata, così ripose l'agnello sullo scaffale e si allontanò sconsolato, ringraziando i due uomini, augurando loro buon Natale.
Il lupo, senza più idee per i regali, girò un'altra volta tra gli scaffali, senza trovare più nulla. Ad un certo punto, però, vide alla cassa i due uomini di prima, entrambi con un agnello sotto il braccio, che lo compravano soddisfatti. A quella vista, il lupo non resse più, e cominciò a chiedersi che senso avesse tutto questo. Aspettò i due uomini. Li fermò e chiese loro: "Perché prima me l'avete sconsigliato e adesso lo comprate". "Amico...è natale! Qualche regalo dobbiamo pur farlo, no?" risposero. Poi se ne andarono ridendo dell'ingenuità del lupo.
Il povero animale, lasciato solo, ingannato, raggiunse il suo limite. Abbandonò lo spirito natalizio che tanto lo aveva affascinato, abbandonò il proposito di essere buono e riprese il suo aspetto da lupo. Lanciò un possente ululato che riecheggiò per l'intero centro commerciale, digrignando i denti in una terribile espressione di furia.
Quasi nessuno, però, si voltò. Solo una signora lo guardò e commentò ad alta voce: "Ecco la solita crisi natalizia! Ah, questa gente che non pensa prima a che cosa comprare!". Subito dopo, una commessa si avvicinò al lupo, pregandolo di uscire dal negozio. Colto alla sprovvista, l'animale uscì, perdendo quell'espressione di rabbia,
Una volta nel corridoio del centro commerciale, solo, disprezzato e senza regali, il lupo si chiese se davvero era Natale. Sconsolato, si avviò così verso casa, a mani vuote. Sulla strada del ritorno, trovò un macellaio. Vi entrò, comprò un po' di carne, se la fece impacchettare per bene, e decise di regalare quella ai suoi lupetti. Mentre tornava, pensava: "Ho smesso di cacciare, e subito sono diventato preda, ho smesso di ingannare e subito sono stato ingannato! Chi è l'animale, allora?". Una volta a casa, il lupo festeggiò con i suoi lupetti e passò un buon Natale. Già a Santo Stefano era tornato quello di sempre, pronto a cacciare e a terrorizzare la gente.

Tanti auguri a tutti di buon Natale e felice anno nuovo!


domenica 10 ottobre 2010

Cris de haine

"Pour que tout soit consommé, pour que je me sente moins seul, il me restait à souhaiter qu'il y ait beacucoup de spectateurs le jour de mon exécution et qu'ils m'accueillent avec des cris de haine."
Per chi non sapesse il francese, riporto una traduzione: "Perché tutto sia consumato, perché io sia meno solo, mi resta da augurarmi che ci siano molti spettatori il giorno della mia esecuzione e che mi accolgano con grida d'odio."
Questa frase tratta da L'étranger (Lo Straniero) di A. Camus, l'ho sentita e riletta diverse volte mentre lo studiavo in quinta superiore. Più volte mi sono domandato il suo signifivato, e più volte mi sono dato qualche risposta, ma mai credo di aver centrato veramente una spiegazione accettabile.
Il protagonista ha ucciso una persona, in seguito ad una particolare condizione in cui si viene a trovare. Viene arrestato e processato, fino ad essere condannato a morte. La citazione è proprio la conclusione del romanzo, momento in cui il protagonista attende la sua condanna e spera di vedere molta gente che lo accolga con grida di odio.
Perché una persona che ha commesso un omicidio dovrebbe desiderare grida di odio? Perché questo lo farebbe sentire "meno solo"? La cosa mi sembra assolutamente incomprensibile, a primo impatto. In questi giorni, però, mi sono dato una risposta.
Non starò a prendere in considerazione il romanzo e il personaggio del libro. Non mi preoccuperò del motivo per cui ha commesso un omicidio, né del suo sentirsi in colpa o no. Cercherò di allargare lo sguardo per dare una risposta più ampia.
Il protagonista spera di essere odiato. Speranza, a mio avviso, molto facile da soddisfare. E' estremamente facile riversare odio, rabbia e indignazione contro chi ha infranto una legge o contro chi ha ucciso qualcuno. Ci si sente giustificati, rassicurati dal fatto che ci si sta accanendo contro qualcuno che ha commesso qualcosa di orribile.
Facilmente ci si trova a sperare che il colpevole possa anche lui soffrire o, addirittura, morire. Si spera in grandi punizioni, ma non per fargli scontare la colpa, ma perché semplicemente "se lo merita". Ma è davvero giusto tutto questo?
Un assassino commette un atto ignobile, contro la vita e contro l'uomo. Commette un atto d'odio, in grado di portare solo dolore e sofferenza. A questo, il nostro cuore, d'istinto, riesce a rispondere in un solo modo: con altro odio.
Il colpevole viene assunto a capro espiatorio, a simbolo del dolore e della sofferenza, e viene bersagliato senza alcuna pietà. L'odio presente nel cuore di ognuno sgorga, pronto a riversarsi su questa persona, questo singolo, il quale, almeno una volta, avrà sicuramente fatto anche del bene. Singolo che è stato bambino, ha giocato, ha amato e sperato.
Siamo davvero giustificati a poter rispondere all'odio con altro odio? Non diamo forse inizio ad un circolo vizioso, in cui non facciamo altro che sprofondare in una spirale sempre più nera e oscura, senza speranza e via d'uscita?
Il protagonista de L'étranger spera nelle grida di odio. Credo di intuire il perché. Ciò che ha fatto è stato un gesto d'odio e di conseguenza si trova già invischiato in questa terribile spirale. E se è vero che noi cerchiamo sempre ciò che ci assomiglia, allora anche lui cerca proprio l'odio. Odio che lo giustifica, perché consolida la sua colpa.
C'è solo un modo per spezzare questa spirale, questo circolo. Molti, a questo punto, intuiranno già la risposta, e magari penseranno che è una sciocchezza o una banalità o addirittura che non si possa mettere in pratica. Io non credo proprio.
Solo l'amore può spezzare tutto questo. Solo l'amore si oppone all'odio. E' con l'amore che si corregge, che si suscita vergogna nell'altro per ciò che ha fatto. E' con l'amore che si perdona e si cerca pentimento. E' solo con l'amore che si risale la spirale.
Se il condannato venisse accolto, invece che dalle grida d'odio, da gesti d'amore, allora a quel punto, la persona sarebbe davvero sola: sola in una folla. Nessuno sarebbe più simile a lui, e la vergogna, la colpa, la speranza e il desiderio di ricominciare potrebbero davvero nascere.
Come esprimere questo amore? Partendo da un sentimento sincero, espresso dal profondo del cuore, senza indicare, ma compatendo (patendo con), senza giudicare o giustificare, ma correggendo e senza disprezzare, ma capendo.


mercoledì 6 ottobre 2010

Estate, sinonimo di...?

E' dal mio viaggio ad Assisi che non aggiorno questo blog. Ormai si potrebbe pensare che sia lasciato alla deriva, che non mi interessi più a scrivere nuovi post, oppure si potrebbe immaginare che non mi succede più nulla di interessante da documentare. Beh, direi che nessuna di queste possibilità è vera, altrimenti non sarei qui a scrivere.
Siccome sono mesi che non scrivo, stasera ho deciso di prendere la pagina bianca del nuovo post, e mi sono detto che in qualche modo avrei pur dovuto riempirla. Potrei cercare di raccontare qualcosa, magari le vacanze fatte dopo Assisi, oppure altri eventi a cui ho partecipato. Potrei, ma non voglio.
Questa estate è stata qualcosa di davvero particolare. Non ho viaggiato in posti strani e non ho incontrato persone lontane, ma ho vissuto, il più serenamente possibile, lunghi mesi di vacanza, in cui mi sono reso conto di una cosa. L'estate è la stagione dei progetti.
Durante l'anno, tra una cosa e un'altra, i progetti, i desideri e le voglie crescono, si sommano e si accavallano fino ad elimarsi a vicenda. Difficilmente, in mezzo ai frenetici ritmi quotidiani, riusciremo a dedicare buona parte del nostro tempo, delle nostre forze ed energie a qualcosa che vogliamo veramente fare.
L'estate, invece, si apre con tutta la sua bellezza, la sua luce, la sua intensità e le sue possibilità. E' la stagione in cui tutto è in mano nostra: niente e nessuno può organizzare e assorbire tutto il nostro tempo, che, finalmente, è davvero tempo da vivere, e non più, semplicemente, da far trascorrere.
Estate non deve ridursi a sinonimo di semplice riposo. Che senso avrebbe trascorrere un'intera stagione a riposare, senza sfruttare, almeno in minima parte, il tempo a disposizione per realizzare un proprio sogno o desiderio? Chi non ha mai sperimentato l'amara sensazione di arrivare a fine estate e rendersi conto di aver perso tempo, di non aver realizzato alcun progetto e (e questa è la cosa peggiore!) di pentirsi di come si è speso il proprio tempo?
Estate è sinonimo di progetto e possibilità. Ora siamo già in autunno, e anche se cadono le foglie, non è il caso di cadere anche noi con loro. Anzi, possiamo ricominciare, riposati (si spera), proprio da terra, come le foglie, per ripetere anche noi il nostro ciclo, fino a rifiorire in primavera, ed infine dare frutto in estate, proprio quando possiamo gustarceli nel migliore dei modi.
Lancio, quindi, una esortazione a chi legge questo post un po' improvvisato: pentiti o no della vostra estate, non disperate, ma continuate a fare progetti, a pensare e a desiderare, perché se estate è sinonimo di progetto e possibilità, forse, a volte, possiamo immaginare che valga anche il contrario!

lunedì 26 luglio 2010

Assisi

Assisi, luogo natale di S. Francesco, costruita sul monte Subasio: ecco la meta della mia prima vacanza. Sono partito con Vincenzo in treno. Dopo un lungo viaggio, rischiando di perdere la coincidenza, arriviamo alla stazione della città.

La stazione, in realtà, si trova ai piedi del monte e per raggiungere la città ci sono due opzioni: o si usa un mezzo di trasporto, oppure si arriva a piedi. Da pellegrini, abbiamo scelto la seconda opzione.

Nella foto ci eravamo appena incamminati. E' stato magnifico ammirare Assisi avvicinarsi, e giungerci lentamente. Non nego la fatica fatta, ma una volta arrivati la soddisfazione ha eliminato tutta la stanchezza!

Una delle prime mete è stata il duomo dedicato a S. Rufino. Qui, oltre all'interno, abbiamo potuto visitare la cripta sottostante.

Il luogo, però, che più avevo voglia di visitare, era la basilica di S. Francesco. Situata ad un'estremità della città, la chiesa è divisa in due parti. La parte superiore, e la parte inferiore, di cui sotto vedete la piazza.

Abbiamo avuto la fortuna di arrivarci al mattino presto e di poter essere tra i primissimi ad entrare, godendo quindi di una pace ed una tranquillità davvero rare! L'interno è davvero ricco, e offre grandi bellezze. Il luogo, però, che più ha lasciato il segno, per me, è stata la tomba di S. Francesco, nella cripta. Potersi fermare, pregare e guardare. Semplicemente ascoltare in silenzio. Qualcosa di semplice ma non facile.

La visita, poi, è proseguita. Tra le chiese visitate c'è anche quella di S. Pietro.

La seconda chiesa, però, che è stata più significativa, è stata la basilica dedicata a S. Chiara, l'altra santa della città. Qui non abbiamo potuto godere della calma avuta a S. Francesco, in un primo momento. Tornandoci, però, nel pomeriggio, abbiamo trovato meno gente, potendo così sostare col dovuto silenzio nella chiesa. Al suo interno il crocifisso di S. Damiano, la cripta ospitante numerose reliquie dei due santi e la tomba della santa.

Ecco poi la piazza e la chiesa verso sera. Davvero piacevole sostare nella piazza, con l'aria che ci rinfrescava dal caldo che c'era.

Oltre agli edifici all'interno delle mura di Assisi, ci sono alcuni luoghi da visitare fuori dalla città. Uno di questi è il santuario di S. Damiano, in cui il crocifisso del santo (ora in S. Chiara) parlò a S. Francesco.

Altro luogo davvero meraviglioso, è l'eremo di S. Francesco. All'interno di un bosco, è ospitato un piccolo santuario in cui Francesco e i frati suoi amici si riunivano in contemplazione. Il luogo offre sentieri, rocce su cui sedersi e ascoltare il suono della foresta, altari in legno per le celebrazioni e le grotte in cui i frati si isolavano per pregare.

Ecco una grotta. Forse dalla foto non si capisce, ma aveva un spazio davvero molto ristretto!

Dopo tanti luoghi spirituali, abbiamo visitato la rocca maggiore, la fortezza nel punto più alto della città. Ne abbiamo visitato l'interno, che si è rivelato davvero molto suggestivo!

Ad esempio, il buio e lungo corridoio che vedete, percorreva l'intero muro della seconda foto. Davvero bello "esplorare" questi luoghi!

La rocca, poi, offriva un panorama sulla città davvero mozzafiato!

Insomma, la città è davvero speciale, e già arrivarvi fa capire di non essere in un luogo qualunque. Siamo partiti dicendo di fare una vacanza e poi di fatto è diventato un pellegrinaggio. E' forse un male? Assolutamente no, anzi! In ogni caso, poi, non sono mancati momenti divertenti e piacevoli, diciamo più da vacanza!
Assisi è stupenda. E' assolutamente da visitare, e per me da tornarci.

lunedì 5 luglio 2010

Roma

"Che ne dite di andare a Roma?" Chi non risponderebbe con entusiasmo a questa proposta? Beh...strano a dirsi, ma inizialmente, io non ho avuto l'entusiasmo che mi sarei aspettato. Purtroppo il periodo della partenza ha coinciso con un momento davvero faticoso. E la fine degli esami, la stanchezza dopo la fine dell'università, la voglia di rilassarsi, di stare un po' per conto mio a riposarmi, idee da realizzare...e molto altro!
Ero, infatti, un po' inquieto prima della partenza. Temevo di rovinarmi da solo il viaggio, di partire prevenuto e di vedere ogni cosa negativamente. Con questi pensieri è arrivato il giorno della partenza.
L'emozione di partire si sentiva! I sorrisi sui volti dei ragazzi erano davvero raggianti (magari un po' nascosti dal sonno...). Già dal parcheggio della parrocchia l'aria che ho respirato è stata un'aria davvero buona. Mi sono reso conto per la prima volta che stavo per partire per Roma, e che per la prima volta stavo per visitarla a dovere, come mai avevo avuto occasione di fare!
Così partiamo: treno ad alta velocità e in meno di 3 ore arriviamo alla capitale.
Appena fuori dalla stazione già ci si accorge di essere a Roma. La città accoglie davvero con un'atmosfera particolare. Insomma...chi potrebbe rimanere indifferente di fronte a questo?


Il Colosseo...è stato uno dei primi luoghi visitati. Mi ha davvero colpito pensare che sia stato un luogo di martirio per molti cristiani. L'idea di attendere la propria morte. Sapere che si sarebbe morti, sacrificandosi per la propria fede...che grandezza!
Abbiamo visitato numerosi luoghi. Ovviamente non poteva mancare S. Pietro e la sua piazza!


Abbiamo anche visitato la tomba di Giovanni Paolo II: un momento davvero intenso, di commozione profonda.
In ogni caso, potrei perdermi a raccontare tutto quello che abbiamo visto, fatto, detto o vissuto, ma non lo farò. C'è solo una cosa su cui voglio porre l'attenzione, la parte del viaggio che più mi è rimasta nel cuore: il pellegrinaggio.
Oltre al divertimento e ai bei momenti passati insieme, ho potuto vivere un mio pellegrinaggio, il mio cammino. Tra le 15 persone che eravamo nessuno di noi ha notato le stesse cose o è stato colpito dagli stessi particolari. Chiaramente è inevitabile, però, proprio perché è così, penso sia bello condividere certi pensieri.
Io, in particolare voglio condividere una poesia, scritta sulla strada per raggiungere la chiesa delle Tre Fontane, luogo del martirio di S. Paolo. La strada, per chi non l'avesse mai percorsa, è abbastanza lunga per dare il tempo di perdersi nei propri pensieri, soprattutto se si sta andando a morire.

Martirio di S. Paolo

Chi sa se era caldo,
o se tirava il vento;
se gli uccelli cantavano il loro conforto.
I tuoi passi alzavano la polvere?
Cadevano foglie sul tuo cammino?

Il Signore camminava con te.
Ti ha sedotto
e mai abbandonato.
Ti ha preso
e mai lasciato.
Ti ha amato dall'eternità.

Avevi timore?
Io tremo,
ripercorrendo
i tuoi passi.

domenica 23 maggio 2010

Cappuccetto Rosso

C'era una volta un gruppo di teatro, di una piccola parrocchia, di S. Giacomo della Croce del Biacco. Non avevano un nome, ma erano molto uniti fra loro. Non erano neanche un numero fisso. Questa volta erano otto.

Si trovarono un giorno ad ottobre. Da lì presero una decisione: "Faremo Cappuccetto Rosso!". L'entusiasmo era grande e il tempo era lungo: cosa sarebbe potuto andare storto?
Decisero di incontrarsi il lunedì. Iniziarono lunghe prove e preparazioni. A volte erano stanchi, a volte erano impegnati, a volte malati e a volte un po' svogliati. Ma tutto questo non importava, perché il tempo bastava!
Arrivò dicembre e il regista partì per un paese molto lontano. Stette via un mese, ma gli altri continuarono a trovarsi. Passarono le vacanze e arrivò il nuovo anno. Grandi speranze e aspettative si aprivano, mentre gli incontri proseguivano.
I mesi passavano e avanzavano. Nessuno ci faceva neanche caso! Gli impegni di ognuno, però, quelli sì che si sentivano! Tra scuola, università, canti, catechismo e incontri sembrava di impazzire. E intanto il freddo si faceva sentire, e non accennava a diminuire.
Un giorno, però, qualcuno notò che il tempo era passato e che di lunedì, ormai, non ce n'erano più tanti. Era tempo di affrettarsi.
Tante cose ancora mancavano: costumi, scenografie e alcune battute. Ma una cosa sembrava non mancare: la voglia di fare bene!
Gli otto continuarono a impegnarsi. Chiesero anche aiuto a un nono, ed ebbero così le scenografie. Si procurarono i vestiti e impararono tutto. Ormai erano pronti.
Trascorsero gli ultimi lunedì e finalmente...

Che dite: ce l'hanno fatta i nostri eroi? Io dico di sì. Nonostante le difficoltà, gli imprevisti dell'ultimo minuto, ce l'hanno fatta. Hanno affrontato con coraggio la loro avventura e hanno portato un sorriso a tante persone. Sono stati davvero incredibili! Si sono davvero meritati gli applausi!

Vi domandate cosa abbiano fatto gli otto dopo aver concluso la loro avventura? Beh...questa è un'altra storia!

sabato 3 aprile 2010

Lui

Quando me lo dissero, non ci credevo. Non ci potevo credere. Era tutto così improbabile, assurdo. Era impossibile. Non potevano convincermi. Non volevo essere testardo, ma realista. Chi avrebbe immaginato il contrario?
Li invidiavo, però. Forse, dentro di me, l'avevo già capito. La loro gioia, il loro sguardo, la loro energia erano rinnovate. Nonostante questo, però, non cambiai idea. Anzi! Lanciai una sfida, così sciocca e infantile, che quasi me ne vergogno. Ma sicuramente legittima. Una scommessa che pensavo di aver già vinto, e che, invece, persi. Per fortuna. Tornò.
Quelle mani. Un po' callose, vissute. Non troppo grandi. Sicuramente un po' meno dello mie, nonostante sia uno dei più giovani. Mani sempre calde, lisce e morbide. Di quelle mani che viene voglia di prendere, stringere e tenere nella propria. Mani forti, sicure, in grado di fare qualunque cosa! Appena le ho viste le ho riconosciute subito.
Ma non solo quelle! Anche il suo corpo era inconfondibile. Non altissimo, nella media. Quelle spalle larghe, robuste, di chi, per anni, ha lavorato duramente e con impegno. Il suo petto, poi, era largo. Volevo gettarmi ad abbracciarlo, ma non ci sono riuscito. Ero ancora fermo a guardarlo.
I miei occhi si erano posati anche sui suoi piedi. Erano quei piedi che tante volte ho guardato, tante volte ho seguito. Quando camminavamo tra la folla, spesso mi capitava di restare tra gli ultimi e di doverlo seguire guardando proprio i suoi piedi. Quei piedi rapidi, decisi, capaci di farlo camminare per ore e davvero ovunque!
Ma la cosa più sorprendente, la parte più bella, era il suo volto. I capelli e la barba creavano una cornice perfetta per quei lineamenti inconfondibili. La bocca quasi sempre spesa in un sorriso sincero. Il naso, un po' a punta, gli dava un aspetto davvero cordiale!
Infine i suoi occhi. Profondi, veri, di un colore inconfondibile. Sembrava di guardarsi allo specchio. Quante volte non sono riuscito a sostenere il suo sguardo, quante volte avrei voluto guardarlo dritto negli occhi, ma non ci sono riuscito per timore. Quante volte, però, è stato lui a venire da me, a guardarmi, a cercarmi, a tendermi quella mano, a sorridermi.
Sì. Mi bastò solo questo per riconoscerlo, ma mi avvicinai lo stesso. Lo abbracciai e toccai comunque quei piedi, quelle mani e il suo petto. Le ferite, lì incise, sembravano sfigurare quel corpo e sembravano metterlo in secondo piano, quasi abbruttendolo. Ma non era affatto così. Se non me l'avesse ripetuto lui, non avrei neanche pensato a ciò che avevo detto solo qualche giorno prima, a quando ho dubitato degli altri che insistevano di averlo rivisto e di aver ricevuto una sua visita. Ora, invece, non avevo più motivo di dubitare e di arrabbiarmi per non esserci stato la volta scorsa. Adesso era qui proprio per me: che fortuna che ho avuto e che onore mi ha fatto! Beato me, che potei rivederlo!
Ho comunque toccato quelle ferite. Devono essere state orribili, ma adesso sono il segno di una grandissima speranza! Le ho toccate, anche se mi era stato sufficiente vederlo, sentire la sua voce, per capire che Lui è davvero risorto!

Buona Pasqua 2010!