mercoledì 6 ottobre 2010

Estate, sinonimo di...?

E' dal mio viaggio ad Assisi che non aggiorno questo blog. Ormai si potrebbe pensare che sia lasciato alla deriva, che non mi interessi più a scrivere nuovi post, oppure si potrebbe immaginare che non mi succede più nulla di interessante da documentare. Beh, direi che nessuna di queste possibilità è vera, altrimenti non sarei qui a scrivere.
Siccome sono mesi che non scrivo, stasera ho deciso di prendere la pagina bianca del nuovo post, e mi sono detto che in qualche modo avrei pur dovuto riempirla. Potrei cercare di raccontare qualcosa, magari le vacanze fatte dopo Assisi, oppure altri eventi a cui ho partecipato. Potrei, ma non voglio.
Questa estate è stata qualcosa di davvero particolare. Non ho viaggiato in posti strani e non ho incontrato persone lontane, ma ho vissuto, il più serenamente possibile, lunghi mesi di vacanza, in cui mi sono reso conto di una cosa. L'estate è la stagione dei progetti.
Durante l'anno, tra una cosa e un'altra, i progetti, i desideri e le voglie crescono, si sommano e si accavallano fino ad elimarsi a vicenda. Difficilmente, in mezzo ai frenetici ritmi quotidiani, riusciremo a dedicare buona parte del nostro tempo, delle nostre forze ed energie a qualcosa che vogliamo veramente fare.
L'estate, invece, si apre con tutta la sua bellezza, la sua luce, la sua intensità e le sue possibilità. E' la stagione in cui tutto è in mano nostra: niente e nessuno può organizzare e assorbire tutto il nostro tempo, che, finalmente, è davvero tempo da vivere, e non più, semplicemente, da far trascorrere.
Estate non deve ridursi a sinonimo di semplice riposo. Che senso avrebbe trascorrere un'intera stagione a riposare, senza sfruttare, almeno in minima parte, il tempo a disposizione per realizzare un proprio sogno o desiderio? Chi non ha mai sperimentato l'amara sensazione di arrivare a fine estate e rendersi conto di aver perso tempo, di non aver realizzato alcun progetto e (e questa è la cosa peggiore!) di pentirsi di come si è speso il proprio tempo?
Estate è sinonimo di progetto e possibilità. Ora siamo già in autunno, e anche se cadono le foglie, non è il caso di cadere anche noi con loro. Anzi, possiamo ricominciare, riposati (si spera), proprio da terra, come le foglie, per ripetere anche noi il nostro ciclo, fino a rifiorire in primavera, ed infine dare frutto in estate, proprio quando possiamo gustarceli nel migliore dei modi.
Lancio, quindi, una esortazione a chi legge questo post un po' improvvisato: pentiti o no della vostra estate, non disperate, ma continuate a fare progetti, a pensare e a desiderare, perché se estate è sinonimo di progetto e possibilità, forse, a volte, possiamo immaginare che valga anche il contrario!

lunedì 26 luglio 2010

Assisi

Assisi, luogo natale di S. Francesco, costruita sul monte Subasio: ecco la meta della mia prima vacanza. Sono partito con Vincenzo in treno. Dopo un lungo viaggio, rischiando di perdere la coincidenza, arriviamo alla stazione della città.

La stazione, in realtà, si trova ai piedi del monte e per raggiungere la città ci sono due opzioni: o si usa un mezzo di trasporto, oppure si arriva a piedi. Da pellegrini, abbiamo scelto la seconda opzione.

Nella foto ci eravamo appena incamminati. E' stato magnifico ammirare Assisi avvicinarsi, e giungerci lentamente. Non nego la fatica fatta, ma una volta arrivati la soddisfazione ha eliminato tutta la stanchezza!

Una delle prime mete è stata il duomo dedicato a S. Rufino. Qui, oltre all'interno, abbiamo potuto visitare la cripta sottostante.

Il luogo, però, che più avevo voglia di visitare, era la basilica di S. Francesco. Situata ad un'estremità della città, la chiesa è divisa in due parti. La parte superiore, e la parte inferiore, di cui sotto vedete la piazza.

Abbiamo avuto la fortuna di arrivarci al mattino presto e di poter essere tra i primissimi ad entrare, godendo quindi di una pace ed una tranquillità davvero rare! L'interno è davvero ricco, e offre grandi bellezze. Il luogo, però, che più ha lasciato il segno, per me, è stata la tomba di S. Francesco, nella cripta. Potersi fermare, pregare e guardare. Semplicemente ascoltare in silenzio. Qualcosa di semplice ma non facile.

La visita, poi, è proseguita. Tra le chiese visitate c'è anche quella di S. Pietro.

La seconda chiesa, però, che è stata più significativa, è stata la basilica dedicata a S. Chiara, l'altra santa della città. Qui non abbiamo potuto godere della calma avuta a S. Francesco, in un primo momento. Tornandoci, però, nel pomeriggio, abbiamo trovato meno gente, potendo così sostare col dovuto silenzio nella chiesa. Al suo interno il crocifisso di S. Damiano, la cripta ospitante numerose reliquie dei due santi e la tomba della santa.

Ecco poi la piazza e la chiesa verso sera. Davvero piacevole sostare nella piazza, con l'aria che ci rinfrescava dal caldo che c'era.

Oltre agli edifici all'interno delle mura di Assisi, ci sono alcuni luoghi da visitare fuori dalla città. Uno di questi è il santuario di S. Damiano, in cui il crocifisso del santo (ora in S. Chiara) parlò a S. Francesco.

Altro luogo davvero meraviglioso, è l'eremo di S. Francesco. All'interno di un bosco, è ospitato un piccolo santuario in cui Francesco e i frati suoi amici si riunivano in contemplazione. Il luogo offre sentieri, rocce su cui sedersi e ascoltare il suono della foresta, altari in legno per le celebrazioni e le grotte in cui i frati si isolavano per pregare.

Ecco una grotta. Forse dalla foto non si capisce, ma aveva un spazio davvero molto ristretto!

Dopo tanti luoghi spirituali, abbiamo visitato la rocca maggiore, la fortezza nel punto più alto della città. Ne abbiamo visitato l'interno, che si è rivelato davvero molto suggestivo!

Ad esempio, il buio e lungo corridoio che vedete, percorreva l'intero muro della seconda foto. Davvero bello "esplorare" questi luoghi!

La rocca, poi, offriva un panorama sulla città davvero mozzafiato!

Insomma, la città è davvero speciale, e già arrivarvi fa capire di non essere in un luogo qualunque. Siamo partiti dicendo di fare una vacanza e poi di fatto è diventato un pellegrinaggio. E' forse un male? Assolutamente no, anzi! In ogni caso, poi, non sono mancati momenti divertenti e piacevoli, diciamo più da vacanza!
Assisi è stupenda. E' assolutamente da visitare, e per me da tornarci.

lunedì 5 luglio 2010

Roma

"Che ne dite di andare a Roma?" Chi non risponderebbe con entusiasmo a questa proposta? Beh...strano a dirsi, ma inizialmente, io non ho avuto l'entusiasmo che mi sarei aspettato. Purtroppo il periodo della partenza ha coinciso con un momento davvero faticoso. E la fine degli esami, la stanchezza dopo la fine dell'università, la voglia di rilassarsi, di stare un po' per conto mio a riposarmi, idee da realizzare...e molto altro!
Ero, infatti, un po' inquieto prima della partenza. Temevo di rovinarmi da solo il viaggio, di partire prevenuto e di vedere ogni cosa negativamente. Con questi pensieri è arrivato il giorno della partenza.
L'emozione di partire si sentiva! I sorrisi sui volti dei ragazzi erano davvero raggianti (magari un po' nascosti dal sonno...). Già dal parcheggio della parrocchia l'aria che ho respirato è stata un'aria davvero buona. Mi sono reso conto per la prima volta che stavo per partire per Roma, e che per la prima volta stavo per visitarla a dovere, come mai avevo avuto occasione di fare!
Così partiamo: treno ad alta velocità e in meno di 3 ore arriviamo alla capitale.
Appena fuori dalla stazione già ci si accorge di essere a Roma. La città accoglie davvero con un'atmosfera particolare. Insomma...chi potrebbe rimanere indifferente di fronte a questo?


Il Colosseo...è stato uno dei primi luoghi visitati. Mi ha davvero colpito pensare che sia stato un luogo di martirio per molti cristiani. L'idea di attendere la propria morte. Sapere che si sarebbe morti, sacrificandosi per la propria fede...che grandezza!
Abbiamo visitato numerosi luoghi. Ovviamente non poteva mancare S. Pietro e la sua piazza!


Abbiamo anche visitato la tomba di Giovanni Paolo II: un momento davvero intenso, di commozione profonda.
In ogni caso, potrei perdermi a raccontare tutto quello che abbiamo visto, fatto, detto o vissuto, ma non lo farò. C'è solo una cosa su cui voglio porre l'attenzione, la parte del viaggio che più mi è rimasta nel cuore: il pellegrinaggio.
Oltre al divertimento e ai bei momenti passati insieme, ho potuto vivere un mio pellegrinaggio, il mio cammino. Tra le 15 persone che eravamo nessuno di noi ha notato le stesse cose o è stato colpito dagli stessi particolari. Chiaramente è inevitabile, però, proprio perché è così, penso sia bello condividere certi pensieri.
Io, in particolare voglio condividere una poesia, scritta sulla strada per raggiungere la chiesa delle Tre Fontane, luogo del martirio di S. Paolo. La strada, per chi non l'avesse mai percorsa, è abbastanza lunga per dare il tempo di perdersi nei propri pensieri, soprattutto se si sta andando a morire.

Martirio di S. Paolo

Chi sa se era caldo,
o se tirava il vento;
se gli uccelli cantavano il loro conforto.
I tuoi passi alzavano la polvere?
Cadevano foglie sul tuo cammino?

Il Signore camminava con te.
Ti ha sedotto
e mai abbandonato.
Ti ha preso
e mai lasciato.
Ti ha amato dall'eternità.

Avevi timore?
Io tremo,
ripercorrendo
i tuoi passi.

domenica 23 maggio 2010

Cappuccetto Rosso

C'era una volta un gruppo di teatro, di una piccola parrocchia, di S. Giacomo della Croce del Biacco. Non avevano un nome, ma erano molto uniti fra loro. Non erano neanche un numero fisso. Questa volta erano otto.

Si trovarono un giorno ad ottobre. Da lì presero una decisione: "Faremo Cappuccetto Rosso!". L'entusiasmo era grande e il tempo era lungo: cosa sarebbe potuto andare storto?
Decisero di incontrarsi il lunedì. Iniziarono lunghe prove e preparazioni. A volte erano stanchi, a volte erano impegnati, a volte malati e a volte un po' svogliati. Ma tutto questo non importava, perché il tempo bastava!
Arrivò dicembre e il regista partì per un paese molto lontano. Stette via un mese, ma gli altri continuarono a trovarsi. Passarono le vacanze e arrivò il nuovo anno. Grandi speranze e aspettative si aprivano, mentre gli incontri proseguivano.
I mesi passavano e avanzavano. Nessuno ci faceva neanche caso! Gli impegni di ognuno, però, quelli sì che si sentivano! Tra scuola, università, canti, catechismo e incontri sembrava di impazzire. E intanto il freddo si faceva sentire, e non accennava a diminuire.
Un giorno, però, qualcuno notò che il tempo era passato e che di lunedì, ormai, non ce n'erano più tanti. Era tempo di affrettarsi.
Tante cose ancora mancavano: costumi, scenografie e alcune battute. Ma una cosa sembrava non mancare: la voglia di fare bene!
Gli otto continuarono a impegnarsi. Chiesero anche aiuto a un nono, ed ebbero così le scenografie. Si procurarono i vestiti e impararono tutto. Ormai erano pronti.
Trascorsero gli ultimi lunedì e finalmente...

Che dite: ce l'hanno fatta i nostri eroi? Io dico di sì. Nonostante le difficoltà, gli imprevisti dell'ultimo minuto, ce l'hanno fatta. Hanno affrontato con coraggio la loro avventura e hanno portato un sorriso a tante persone. Sono stati davvero incredibili! Si sono davvero meritati gli applausi!

Vi domandate cosa abbiano fatto gli otto dopo aver concluso la loro avventura? Beh...questa è un'altra storia!

sabato 3 aprile 2010

Lui

Quando me lo dissero, non ci credevo. Non ci potevo credere. Era tutto così improbabile, assurdo. Era impossibile. Non potevano convincermi. Non volevo essere testardo, ma realista. Chi avrebbe immaginato il contrario?
Li invidiavo, però. Forse, dentro di me, l'avevo già capito. La loro gioia, il loro sguardo, la loro energia erano rinnovate. Nonostante questo, però, non cambiai idea. Anzi! Lanciai una sfida, così sciocca e infantile, che quasi me ne vergogno. Ma sicuramente legittima. Una scommessa che pensavo di aver già vinto, e che, invece, persi. Per fortuna. Tornò.
Quelle mani. Un po' callose, vissute. Non troppo grandi. Sicuramente un po' meno dello mie, nonostante sia uno dei più giovani. Mani sempre calde, lisce e morbide. Di quelle mani che viene voglia di prendere, stringere e tenere nella propria. Mani forti, sicure, in grado di fare qualunque cosa! Appena le ho viste le ho riconosciute subito.
Ma non solo quelle! Anche il suo corpo era inconfondibile. Non altissimo, nella media. Quelle spalle larghe, robuste, di chi, per anni, ha lavorato duramente e con impegno. Il suo petto, poi, era largo. Volevo gettarmi ad abbracciarlo, ma non ci sono riuscito. Ero ancora fermo a guardarlo.
I miei occhi si erano posati anche sui suoi piedi. Erano quei piedi che tante volte ho guardato, tante volte ho seguito. Quando camminavamo tra la folla, spesso mi capitava di restare tra gli ultimi e di doverlo seguire guardando proprio i suoi piedi. Quei piedi rapidi, decisi, capaci di farlo camminare per ore e davvero ovunque!
Ma la cosa più sorprendente, la parte più bella, era il suo volto. I capelli e la barba creavano una cornice perfetta per quei lineamenti inconfondibili. La bocca quasi sempre spesa in un sorriso sincero. Il naso, un po' a punta, gli dava un aspetto davvero cordiale!
Infine i suoi occhi. Profondi, veri, di un colore inconfondibile. Sembrava di guardarsi allo specchio. Quante volte non sono riuscito a sostenere il suo sguardo, quante volte avrei voluto guardarlo dritto negli occhi, ma non ci sono riuscito per timore. Quante volte, però, è stato lui a venire da me, a guardarmi, a cercarmi, a tendermi quella mano, a sorridermi.
Sì. Mi bastò solo questo per riconoscerlo, ma mi avvicinai lo stesso. Lo abbracciai e toccai comunque quei piedi, quelle mani e il suo petto. Le ferite, lì incise, sembravano sfigurare quel corpo e sembravano metterlo in secondo piano, quasi abbruttendolo. Ma non era affatto così. Se non me l'avesse ripetuto lui, non avrei neanche pensato a ciò che avevo detto solo qualche giorno prima, a quando ho dubitato degli altri che insistevano di averlo rivisto e di aver ricevuto una sua visita. Ora, invece, non avevo più motivo di dubitare e di arrabbiarmi per non esserci stato la volta scorsa. Adesso era qui proprio per me: che fortuna che ho avuto e che onore mi ha fatto! Beato me, che potei rivederlo!
Ho comunque toccato quelle ferite. Devono essere state orribili, ma adesso sono il segno di una grandissima speranza! Le ho toccate, anche se mi era stato sufficiente vederlo, sentire la sua voce, per capire che Lui è davvero risorto!

Buona Pasqua 2010!

martedì 16 marzo 2010

Alice in Wonderland


Alzi la mano chi, prima di essere andato (o di andare) a vedere "Alice in Wonderland", ne ha letto una recensione, oltre che vedere un trailer. Ora, invece, la alzi chi si è fidato solo del nome di Tim Burton e Johnny Depp, ed è andato (o andrà) a vederlo solo per questo. Penso che i primi saranno una netta minoranza.
"Alice in Wonderland" ha indubbiamente il suo fascino. Le aspettative a inizio film sono alte. Il regista di solito non delude e anche Johnny Depp ha il suo merito nell'attirare spettatori. Purtroppo, però, maggiori sono le aspettative, maggiore risulta la delusione nel caso si fallisca l'obiettivo.
La storia del film parte con buone premesse. La bambina, figlia di un padre sognatore, amante dell'impossibile, continua ad avere lo stesso incubo: sogna di cadere nella cavità di un albero, seguendo un coniglio bianco col panciotto, finendo in un mondo popolato da strane creature. L'incubo si ripete per anni, anche se la bambina è ormai cresciuta.
Un giorno, durante una festa, Alice vede un coniglio bianco. Incuriosita, decide di seguirlo, approfittandone per sfuggire alla festa, finendo così nella cavità dell'albero. "La stessa dei suoi incubi", è la prima cosa che si pensa. Non è la stessa cosa, però, che penserà Alice, che per quasi tutto il film crederà di vivere un sogno, in maniera poco credibile e convincente.
Il film inizia così a deludere. Burton sembra aver perso un po' l'essenza del romanzo di Lewis Carroll. Se lo scrittore giocava con le parole, il senso del gioco e della meraviglia, l'assurdo, in cui comunque si manteneva una forte logica, il regista tende a perdere questi aspetti, concentrandosi principalmente sull'impossibile (che poi, alla fine, impossibile non è) e sulla possibilità di realizzare i propri sogni.
In più, se l'Alice del romanzo è quella bambina meravigliata e stupita di fronte al mondo fantastico in cui si trova, nel film, Alice perde tutto il suo stupore. Non sembra meravigliarsi più di nulla. Anzi, è pronta a combattere e a sconvolgere gli eventi.
Infine, una nota sul Cappellaio Matto (Johnny Depp). L'interpretazione è ben riuscita, anche se sembra già vista. Strappa qualche sorriso, ma non eccelle. Burton, purtroppo, facendo di Depp il suo cavallo di battaglia, dando molto più spazio al Cappellaio di quello necessario, ha creato una Alice che non sembra la vera protagonista.
In conclusione, il film poteva sicuramente offrire di più. Risulta essere semplice e senza troppe pretese. Sicuramente adatto e divertente per i più giovani, ma insipido per chi ha letto il romanzo, ha visto il cartone animato o, comunque, cerca qualcosa di originale e innovativo.

giovedì 11 marzo 2010

Era lì: sorrideva

Era bellissimo. Imponente e bellissimo. Sembrava proprio una roccia, lì in piedi, dopo il brutto tempo, con quel sole che brillava dopo giorni di precipitazioni.
Aveva due occhi unici. Ad un primo sguardo, sembravano occhi identici, dello stesso colore. Ma ad un attento esame, l'occhio destro rivelava una leggera imperfezione, come fosse strabico. Uno strabismo fine, però. Gli dava un tocco di eleganza.
Aveva anche un naso buffo. Non si poteva fare a meno di riderne. Poi ci si sentiva in colpa, ma almeno si rideva davvero di gusto. Una di quelle risate spontanee, disinteressate: genuine, insomma!
Il sorriso, però, era il suo forte. Sempre a trentadue denti. Ampio, ma mai forzato. Accogliente, ironico. Sembrava quasi prenderti in giro, ma, probabilmente, vedeva solo più in là della realtà. Aveva già capito tutto dalla vita. Sapeva già cosa avrebbe fatto, dove sarebbe arrivato. Non aveva alcuna incertezza. E lo si capiva al primo sguardo. Quando passavi e lo vedevi lì, in piedi, non si poteva fare a meno di pensare di voler essere un po' come lui.
Ricordo bene il giorno in cui lo incontrai per la prima volta. Portava una gran bella sciarpa rossa, quasi fiammeggiante. Sulla sua pelle chiara risaltava notevolmente, facendolo quasi impallidire di più.
Ricordo che passavo per il parco, tornando da scuola. Era una giornata "no". Il quadrimestre stava per finire, e avevo appena preso un quattro in matematica. Che rabbia quel giorno! Avrei preso a calci la prima cosa che mi fosse capitata sotto i piedi!
Mentre imprecavo fra me e me, lo vidi, lì, nel parco, sorridente, davvero splendido. Mi fermai incantato. La prima cosa che pensai fu proprio "vorrei essere come lui!". Mi avvicinai e lo salutai. Non rispose. Mi sorrise, sì. Mi guardò. Ma non parlò.
Gli feci un cenno con la mano, allora. Restò fermo, ma sono quasi sicuro che mi fece l'occhiolino. A quel punto notai il suo naso. Gli risi in faccia e gli puntai il dito contro. Dopo poco mi vergognai e penso di essere diventato tutto rosso. Notai il suo sguardo cambiare. Mi stava un po' rimproverando, ma, nonostante tutto, il suo sorriso non cambiò neanche un po'.
Dopo essermi ripreso dalla risata, lo guardai dritto negli occhi, mi feci serio, e gli dissi di aver preso quattro in matematica. Non disse nulla. Continuò a sorridere. Mi sentii a disagio. Qualcosa dentro di me stava reagendo.
Cominciai a sudare. Divenni nervoso e iniziai a giustificarmi. Gli dissi che il compito era difficile. Gli dissi che la prof era stata stronza (sì, gli dissi così! Non vi dico come mi guardò dopo...); che mi ero fatto prendere dall'agitazione, che avevo solo sbagliato dei calcoli, ma non il procedimento e scuse di questo genere.
Dopo avergli vomitato addosso tutte queste scuse, calò un silenzio imbarazzante. Volevo arrabbiarmi con lui per avermi messo così a disagio, ma non ci riuscii. Nonostante il suo sguardo mi guardasse con rimprovero, il suo largo sorriso era comunque caloroso e comprensivo.
Abbassai lo sguardo, feci un respiro, poi tornai a fissarlo in quegli occhi così sinceri. Gli dissi la verità. Non avevo studiato e avevo sperato di cavarmela con dei bigliettini, che la prof mi aveva scoperto.
Mi sentii un verme e riabbassai gli occhi. Era freddo, era pieno inverno, e un brivido mi avvolse. Cominciai a pensare che stessi perdendo tempo. Un colpo di vento più forte del solito mi scosse dai miei pensieri e in quel momento ebbi l'impressione che lui si fosse mosso, così alzai di nuovo lo sguardo.
Si era tolto la sciarpa, che ora penzolava su una spalla. Lo fissai sbalordito: mi stava dando la sua sciarpa! Ero in imbarazzo. Non sapevo cosa dire e fare. Cominciai a scuotere il capo, ma lui insistette a lasciare la sciarpa così. Incerto sul da farsi, avvicinai lentamente la mano per prendere quella bellissima sciarpa rossa. Lui non si mosse e continuò a sorridere, così alla fine la presi, fino a mettermela al collo. Era calda, nonostante tutto.
A quel punto, guardai l'orologio e vidi che si stava facendo tardi. I miei mi aspettavano a casa. Sentendomi in colpa a troncare così il nostro incontro, cominciai a scusarmi. Lui non ci badò, e mi sorrise comprensivo.
Lo ringraziai tantissimo prima di lasciarlo. Ricordo bene quel momento. Cominciai a correre per andare verso casa e prima di uscire dal parco mi voltai per guardarlo un'altra volta. Lo osservai l'ultima volta: fermo, sorridente, imponente e bellissimo, illuminato da un raggio di sole.
Appena a casa raccontai ai miei genitori del quattro e di come avevo tentato di copiare. Ammisi le mie colpe e parlai sinceramente mostrandomi in colpa per quello che avevo fatto e deluso dal voto che mi avrebbe rovinato la pagella del quadrimestre. I miei furono comprensivi. Si arrabbiarono, mi sgridarono, ma capirono quanto mi costò dire la verità.
Non raccontai loro del mio incontro (per la sciarpa, dissi che me l'aveva regalata una compagna). Era stato qualcosa di speciale, di unico ed irripetibile. Un incontro, quasi del destino. Qualcuno l'aveva messo lì per me.
Il giorno dopo speravo di incontrarlo di nuovo, ma sapevo che le speranze erano minime. Uscendo di casa avvertii il calore del sole, come quella giornata non sarebbe stata grigia come le precedenti. Pian piano, però, divenni sempre più certo che non l'avrei incontrato nuovamente.
Infatti, giunto al parco, arrivai lì dove stava il giorno prima, e ormai non c'era più nulla di lui. Di lui, solo un mucchietto era rimasto lì, irriconoscibile. Se non fosse stato per il naso, quasi avrei pensato di averlo confuso con un altro.
Invece era lui. Quel raggio di sole che il giorno prima lo faceva splendere, l'aveva fatto scivolare via. Ora rimaneva solo una pozza bagnata, a ricordo di quella meravigliosa persona, una vera opera, un vero uomo, anche se di neve.
Era stato in grado di ascoltare, di sorridere, di non distogliere lo sguardo e di donare, rinunciando a tutto ciò che aveva, per dare a chi aveva davvero bisogno.